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(afp)

la Repubblica

Atletica, bocciata la scarpa "volante" della Nike

La World Athletics (ex Iaaf) dice no alle Vaporfly "evolute" usate da Kipchoge per scendere sotto il muro delle due ore nella maratona. Non potranno essere utilizzate in competizioni ufficiali sotto l'egida della federazione internazionale

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Come largamente annunciato, e un po' previsto, hanno fermato la corsa: delle scarpe. Le Vaporfly "evolute" della Nike, ora note come Alphafly Prototype, sotto attacco da due anni e da due anni ferme alla dogana dell'omologazione agonistica, le scarpe "magiche" con cui Eliud Kipchoge (con le dovute personalizzazioni, come accade ad altri supporti come le racchette o gli sci) è sceso per la prima volta sotto le due ore nella maratona maschile (anche qui senza ottenere l'omologazione) e quelle, diverse però, con cui Brigid Kosgei ha migliorato la miglior prestazione mondiale della maratona femminile, non potranno essere utilizzate in competizioni ufficiali sotto l'egida della World Athletics (l'ex Iaaf). Troppi vantaggi. Sarebbe un doping tecnologico e una discriminazione intollerabile, simile per certi versi ai costumi "volanti" utilizzati nel nuoto per abbassare decine di record e poi ritirati. La Nike non è contenta ma nemmeno disperata.
 

Del resto l'azienda dell'Oregon aveva attivato una campagna col botto, senza ritorno: "La scarpa per battere tutti i record". Quelle scarpe saranno in vendita (e lo sono già) ma in una versione più "umana". E chi vuole potrà utilizzarle. Mentre l'Alphafly Prototype di Kipchoge, ossia la Vaporfly "evoluta", non sarà spendibile per "battere tutti i record". Quindi la Nike potrà felicitarsi: non si è dovuta scontrare contro il muro della non-commercializzazione del prodotto (che costa comunque moltissimo, poco sotto i 300 euro). Kipchoge si è già esposto, assai contrariato: "In Formula 1 la Pirelli fornisce gomme a tutti ma poi vince la Mercedes. Perché? Perché è più forte. E' il motore che fa la differenza. O la persona. Ed è la persona che corre una distanza, non la scarpa". Vero. Ma il punto è che la Nike non fornisce a tutti le scarpe e, di più, lo stesso tipo di scarpe. Non esiste l'atletica monomarca o monomodello. O almeno non ancora. E poi quali sarebbero i vantaggi arrecati? Nascerebbero da due aspetti dell'evoluzione tecnologica: la piastra o soletta (solette) in carbonio e dallo spessore, quasi esagerato, dell'intersuola, che è arrivato a 36 millimetri, che consente di inserire più di un'innovazione chimica o tecnologia in grado di migliorare la spinta, restituire elasticità e di conseguenza far consumare meno ossigeno (a muscoli e  polmoni). Senza contare quello strano effetto basculante dell'appoggio che ripropone vagamente l'idea di calzatura sportiva e da riposo, molto in voga qualche anno fa, a partire dalla metà degli anni Novanta, che stava dietro alla cosiddetta "Masai Barefoot" (ma da almeno dieci anni tale idea è entrata in crisi). Il mercato del running ha preso quella direzione. Si stanno adeguando al modello Nike molti dei brand di calzature sportive: Hoka One One, New Balance, presto anche Brooks e Saucony. Ma andranno verso il pubblico grande, escludendo i professionisti.

C'è però un altro punto dolente: i rischi per la salute muscolo-scheletrica. Già con la "ZoomX Midsole", messa a punto nel 2017, entrammo nelle zone di competenza di Philip Dick. Ora siamo nel regno dell'ultra-tecnologia. Un passo dopo è fantascienza. La Nike flirta con il presente sognando di sposare il futuro. Ma la soletta a forma ricurva in fibra di carbonio, o più di una struttura rigida interna, nel profilo simile a una protesi per paralimpici, non sono tutto oro. In apparenza un esile supporto, nei fatti un potente "enhancing". Di colpo il rapporto fra piede e superficie di corsa cambia, migliora, "la restituzione di forza elastica dal terreno aumenta come aumenta l'energia risparmiata nel movimento ripetuto, soprattutto durante sforzi prolungati", spiega Geng Luo, capo del laboratorio di ricerche biomeccaniche della Nike. In casi di massima "endurance" tale combinazione arriverebbe ad assicurare altissime rese, con un guadagno stimato del 4%.

La "stiffness", la durezza-reattività più pronunciata del complesso piede-scarpa, avrebbe un inevitabile rimbalzo sul tendine d'Achille. Hanno pensato anche a quello: la soletta si ferma a 9 millimetri dal retroscarpa. La ricerca punta a conquistare nuove terre. Ma sulla carta rischia comunque di provocare esperienze mistico-legamentose, la maggior parte delle quali negative: "La geometria della soletta eviterà i sovraccarichi sulla caviglia", garantisce Luo. Ma bisognerebbe avere piedi in grado di sopportare tutta quell'elasticità, diciamo così, artificiale: "Alla lunga si possono provocare tendinosi, danni all'arco plantare", dicono altri bio-meccanici. Insomma: prodotti raffinati ma per pochi piedi. Qualcuno potrebbe beneficiarne. Ma soltanto qualcuno. E in ogni caso, la World Athletics ha deciso di evitare guai, sradicando il problema (per ora) dalle sue responsabilità legali. La vecchia norma 143.6 del suo regolamento era abbastanza laconica: "Proibiti accessori, dentro o fuori dalla scarpa, che producano uno spessore rigido oltre i limiti consentiti". Prima, nella norma 143.2, erano ancora più vaghi: "Evitare supporti iniqui". Che potrebbe essere tanto una scarpa con i razzi quanto essere trainati da un ghepardo. Ora la World Athletics dice: "Ogni scarpa usata in competizione deve essere posta in libera vendita almeno quattro mesi prima del debutto". Vago anche questo. Dipende da cosa si commercializza. Se si commercializza qualcosa che poi sarà "bannato", a che scopo acquistare un prodotto (secondo un professionista?). Solo per allenarsi? Peggio mi sento. Il grande sogno, la grande scarpa, la grande soletta, la grande scalata, il grande muro, i grandi dubbi. A quanto pare la gara della scarpa magica, che era appena iniziata, forse è già finita.