Dago alla triennale di milano! - il 31 gennaio alle 18,30 lectio sulla cultura skate dal titolo...
DAGO ALLA TRIENNALE DI MILANO! - OGGI ALLE 18,30 LECTIO SULLA CULTURA SKATE DAL TITOLO “TRACCE SUL MARCIAPIEDE”. SU DAGOSPIA CI SARA' LO STREAMING VIDEO IN DIRETTA - “FARE SKATING NON NASCE DA UN BISOGNO DI RIBELLIONE, MA PIUTTOSTO DA UN BISOGNO MISTICO DI CALORE UMANO, AMICIZIA, FRATELLANZA E SOLIDARIETÀ. È PROVA DI UN'ETICA SOTTERRANEA E VIOLENTEMENTE ANTISPORTIVA E ANTIAUTORITARIA, CHE ESISTE IN CONTRAPPOSIZIONE ALLE CONVENZIONI SOCIALI…”
1 - UNA LECTIO ALLA TRIENNALE
In concomitanza con l’installazione OooOoO, skatepark realizzato dall’artista coreana Koo Jeong A, progetto a cura di Julia Peyton-Jones con Lorenza Baroncelli, il 31 gennaio alle 18.30 Triennale Milano presenta la lectio di Roberto D’Agostino dal titolo “Tracce sul marciapiede”, con una introduzione di Stefano Boeri, presidente di Triennale Milano, e interventi di Paolo Cenciarelli, fotografo, Simone El Rana, artista, Paulo Lucas von Vacano, editore di Drago edizioni.
2 - SE CADI, RIALZATI È LA CULTURA SKATE
Stefania Parmeggiani per “la Repubblica”
Asfalto, polvere e cemento. Tanto cemento. E poi lividi, ginocchia sbucciate, costole rotte, denti scheggiati senza che la cosa importi realmente perché il dolore viene dopo. Prima c'è solo il desiderio di sfidare il tempo e lo spazio, rubare velocità, inseguire il sogno di una evoluzione senza fermarsi al pensiero delle conseguenze. Lo skate è così da sempre, da quando sul finire degli anni Cinquanta un surfista di Los Angeles in astinenza da onde si lanciò su un mare di cemento.
Piazze, parcheggi, panchine, scheletri urbani e poi, negli anni Settanta, le piscine svuotate dalla siccità. Onde di cemento perfette, che attraversano le generazioni fino ad arrivare oggi a Tokyo: Olimpiade 2020, lo skateboard come disciplina olimpica.
La lunga marcia di quello che per anni è stato considerato più una filosofia di vita che uno sport, viene celebrata dalla Triennale Milano con una immersione nella cultura skate. Dalla strada al museo in più atti. Primo: l' installazione "OooOoO" dell' artista coreana Koo Jeong A, un grande skatepark multisensoriale inaugurato alla fine di novembre e dove chiunque può esibirsi accompagnato dalla musica elettronica di Koreless, un produttore di Glasgow. E poi serate ed eventi che attraverso la lente di moda, cinema, grafica, architettura, urbanistica, musica e sport approfondiscono l'universo degli skater e la loro pulsione creativa.
Tra questi la mostra "Tracce sul marciapiede", a cura di Roberto D'Agostino, giornalista ed esperto di sotto e controculture, che racconta attraverso film, fotografie, video e tavole d'artista sia la rivoluzione di Dogtown, degradato quartiere tra Santa Monica e Venice, sia gli adolescenti che a Roma e Milano aggrediscono ogni giorno marciapiedi, scalinate, ringhiere, cantieri abbandonati, rampe degli svincoli stradali.
«Fare skating non nasce da un bisogno di ribellione, ma piuttosto da un bisogno mistico di calore umano, amicizia, fratellanza e solidarietà», spiega D' Agostino che il 31 inaugurerà la mostra con una lectio che affonda nel cuore della cultura skate, in quel «groviglio di emozioni gettate senza garbo sulla strada non per sfidare il potere, ma per crescere senza sfuggire alla sofferenza, al contrario cavalcandola per vedere come andrà a finire». In una dimensione dove non ci sono istruttori o maestri, ma solo amici, compagni di strada che si incontrano e contribuiscono alla creazione di una identità.
E pensare che tutto iniziò come un «passatempo per acrobati picchiatelli», con sedute di allenamento su rotelle che dovevano calmare l'astinenza dei surfisti nei giorni di calma, quando l'oceano non regalava onde e nemmeno emozioni. «La svolta - ricorda D'Agostino - arriva nel 1976 quando la siccità lascia senz'acqua Los Angeles. Una disposizione del sindaco vieta di innaffiare i giardini e per un' estate intera, decine di migliaia di piscine restano a secco, ma non inutilizzate. Quello spazio rimasto vuoto, così levigato e parabolico, è perfetto per le evoluzioni più rischiose ».
Sono i giorni eroici degli Z-Boys, surfisti fatti skater che entrano illegalmente nelle ville dei ricchi, si appropriano delle loro piscine e di intere strade trasformando i marciapiedi in un regno con regole profondamente sovversive: «Niente competizione e divise, nessun vinto e vincitore. Lo skate è prova di un' etica opposta, sotterranea e violentemente antisportiva e antiautoritaria, che esiste in contrapposizione alle convenzioni sociali». Una frase di Dogtown and Z-boys - docufilm di culto con la voce narrante di Sean Penn, che sarà proiettato insieme a Paranoid Park di Gus Van Sant e Kids di Larry Clark - sintetizza perfettamente questo spirito ribelle ormai diventato cultura: «Il surf fece le regole dello skate. Lo skate cambiò le regole della vita».
A Los Angeles, nei bassifondi di New York, in Europa e anche in Italia. «Nel 1977 Odeon, rubrica di spettacolo e curiosità dal mondo, trasmette un servizio sullo skating, strade e marciapiedi vengono invasi da giovanissimi entusiasti, un successo accompagnato da numerosissimi incidenti».
Scatta l'allarme, Genova vieta la circolazione dello skateboard. Altre città ne seguono l'esempio, all' inizio del 1978 il divieto è esteso a tutto il territorio nazionale.
«Ma come sempre accade - continua D'Agostino - la proibizione accende il desiderio e i ragazzi continuano a cavalcare il cemento anche se nell' ombra, di notte, lontano dai riflettori e dagli sguardi dei curiosi. Finché negli anni Novanta nascono le prime strutture adeguate come l' Elbo skatepark di Bologna».
Ben presto il Coni lo riconosce come disciplina sportiva e quest'anno vedremo per la prima volta i migliori skater del mondo sfidarsi a Tokyo. L'evoluzione italiana è raccontata in mostra da una selezione di fotografie di Paolo Cenciarelli, che ritraggono la scena romana in relazione al contesto urbano e architettonico e da una serie di skateboard creati da Simone El Rana, artista che ha come marchio di fabbrica l' ex-voto e un tripudio di forme, dai teschi alle immagini religiose, tipiche del mondo dei tatuatori. Non solo: due video, ideati per Triennale dallo stesso D' Agostino con montaggio del fotografo Pierluigi Amato, srotolano il nastro del tempo dagli anni Novanta a oggi.
«Sono immagini amatoriali, spesso crude, girate dagli stessi skater per documentare i loro balletti di audacia e precisione, i progressi e i fallimenti». Riprese di quando lo skating era una pratica strana, considerata dai più un rifugio per teppisti o disadattati, e filmati di oggi, dei giorni in cui è diventato una pratica da oro olimpico e un oggetto da museo. Ma D'Agostino avvisa: «Attenzione con le parole, chi fa skate rifiuta la fruizione passiva. Si sente al centro di una storia, che sia un successo o una sconfitta, un salto o una caduta». Atleti ruvidi e spavaldi, distanti da logiche di potere e dominio, inquieti protagonisti di una esibizione che diventa metafora della vita: quando cadi non hai scelta, ti devi rialzare.