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Pri, Saponaro: "Costruire futuro senza rinnegare il passato"

Il Partito repubblicano italiano è tornato sulle schede elettorali delle elezioni regionali dopo qualche anno di assenza

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di Corrado De Rinaldis Saponaro*

Il Partito repubblicano italiano è tornato sulle schede elettorali delle elezioni regionali dopo qualche anno di assenza. Ciò è stato possibile grazie a uno sforzo organizzativo non indifferente del gruppo dirigente dell’Emilia Romagna, a cominciare dal segretario regionale, e di tutti i candidati che hanno accettato di condividere questa sfida.Abbiamo appoggiato con convinzione il Presidente Bonaccini perché abbiamo apprezzato i risultati conseguiti nel governo della Regione degli ultimi cinque anni e, in particolare, l’aumento dell’occupazione, la crescita del PIL regionale ed il funzionamento della sanità con molte punte di eccellenza.Il contributo dei Repubblicani alla lista insieme a +Europa e Partito Socialista è stato fondamentale non solo in termini politici ma anche numerici se si considera che la nostra lista in provincia di Ravenna, formata al 75% da candidati Repubblicani, ha conseguito la percentuale più alta tra tutte le provincie della Regione.Ma le valutazioni positive si fermano qui. Dal voto in Emilia Romagna e in Calabria è facile rilevare un forte disagio degli elettori in relazione all’azione del Governo nazionale:  per le fallimentari politiche meridionaliste; per la mancanza di politiche d’investimento, di cui tutto il Paese ha una urgente necessità; per la mancanza di revisione dell’ingente spesa pubblica improduttiva.Il Movimento 5 Stelle, al Governo da dopo le elezioni politiche del 2018, crolla nei consensi elettorali sia in Calabria che in Emilia Romagna. Nel centro destra diventa irrilevante la componente liberale ed europeista e la coalizione si caratterizza sempre più  per essere a tradizione salviniana. Il PD non creda di aver risolto la sua crisi di identità grazie alla vittoria di Bonaccini, che ha condotto una campagna elettorale con spirito e grafica di grande indipendenza.All’Italia manca una forza politica Liberal Democratica, o se si preferisce Liberal Keynesiana, che affondi le radici nella storia d’Italia, che sia europeista e filo atlantica e che sappia dare soluzioni ai problemi con la luce della ragione e non con la necessità di guadagnare nell’immediato una manciata di voti in più.

 Ogni progetto politico deve avere radici storiche nel Paese per  essere credibile. Le nuove sigle, che in Italia propongono nuove offerte politiche, fuori dai confini nazionali non sono riconoscibili. La  mancata appartenenza alle famiglie politiche tradizionali rende complesso ogni percorso di crescita, di costruzione di una credibilità di lungo termine che non sia collegata solo al leader di turno. Il leaderismo garantisce consensi, se sostiene e asseconda le mode. Ma non permette di offrire ai cittadini una rotta chiara. E se questa rotta non è chiara agli elettori nazionali, tanto meno lo è sullo scacchiere internazionale, dove sono fondamentali la storia e l’appartenenza a famiglie politiche tradizionali costruite sui solide e durature alleanze.

  Le nostre grandi aziende hanno difficoltà ogni giorno di più a operare nel bacino del Mediterraneo, dove una politica estera ondivaga ci rende nel migliore dei casi ininfluenti. Né può essere diversamente. Le grandi operazioni e il rafforzamento delle aziende che rappresentano il sistema  Paese spesso non risultano affidabili perché non lo è l’Italia. Gli Stati valutano la partecipazioni delle aziende alle grandi operazioni sulla scorta di parametri di affidabilità, di titoli acquisiti. Così come accade per i concorsi il possesso da parte dei concorrenti della laurea o di un master dà punteggio, nelle operazioni internazionali le aziende italiane venivano valutate al massimo livello, come fossero in possesso di laurea e master rispetto ai titoli di aziende di altri stati meno solidi, perché era l’Italia a offrire garantire. Ora il titolo che viene attribuito all’Italia e alle sue aziende è davvero basso.

 Lo stesso ragionamento vale sul territorio nazionale, dove ogni operazione di investimento continua a scontrarsi con una burocrazia che scoraggia, che riempie il percorso imprenditoriale di trappole e di ostacoli.

  La linea ondivaga del governo sullo scenario internazionale è tale anche a livello nazionale, in particolare nel Mezzogiorno. Negli ultimi mesi del 2019  molti imprenditori non hanno potuto beneficiare del bonus occupazionale che prevedeva l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, per le assunzioni di under 35 a tempo indeterminato nel Sud, per mancanza di risorse finanziarie che coprissero quella misura prevista dalla Legge di Bilancio dello Stato. Le domande presentate nel gennaio 2020, con riferimento alla stessa norma ma per assunzioni effettuate negli ultimi mesi del 2019, sono state respinte, perché ora i soldi ci sono ma le domande andavano presentata entro 30 giorni dall’assunzione, quando non vi era copertura.

 Il reddito di cittadinanza, d’altro canto, è una misura utile per accompagnare e aiutare i cittadini in momentanea difficoltà, ma ha dimostrato la sua incapacità nel dare risposte a chi davvero cerca lavoro e nel venire incontro alle esigenze delle imprese.

 Questo è il Sud per il governo, non solo per quello in carica. Nel giugno del 2017 fu emanato un decreto legge, convertito in legge nell’agosto dello stesso anno che ha per titolo “Disposizioni urgenti per la crescita economica del Mezzogiorno”.  L’urgenza si è fermata al titolo, posto che tra le altre misure contenute nella legge vi è l’istituzione delle Zone economiche speciali collegate ai porti del Mezzogiorno. La semplificazione amministrativa tanto sbandierata e garantita con le Zes è rimasta sulla carta. Tant’è che ogni impresa che voglia investire deve munirsi di 32 tra autorizzazioni e visti di varie amministrazioni prima di ottenere il via libera. Certo, così il Sud non crescerà. E neppure l’Italia. Ecco la necessità di una forza politica liberal keynesiana capace di programmare e spingere gli investimenti pubblici, di ridefinire e semplificare il percorso di chi vuole investire, di redistribuire con equità la ricchezza prodotta. Il Pri in un futuro così fatto ci crede e vuole dare il suo contributo.

*segretario nazionale Pri