La Brexit ci impone di portare avanti un progetto transnazionale, quello che farò a Strasburgo

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Anadolu Agency via Getty Images

Erano passate tre settimane dal referendum di giugno 2016 con cui i Britannici decisero di lasciare l’Unione europea e ci riunivamo a Bratislava per discutere delle conseguenze politiche e istituzionali della Brexit. Fu allora che proposi ai miei colleghi, ministri degli Affari europei, di usare i 73 seggi lasciati dai britannici al Parlamento europeo per introdurre delle liste transnazionali, cioè liste di diversi partiti e movimenti politici europei in una circoscrizione unica europea. Avevo sentito per la prima volta parlare di politica transnazionale da Marco Pannella, all’inizio degli anni ’90, per portare avanti il progetto federale di Spinelli e riorganizzare la politica europea lungo una “nuovissima linea di divisione” tra progressisti e conservatori.

Da allora, mi sono battuto per questo progetto, perché sono sempre stato convinto che non avremo mai una vera democrazia europea senza veri movimenti politici transnazionali. Noi europei siamo gli unici al mondo a eleggere direttamente ogni cinque anni dei deputati in un parlamento continentale. Non accade in nessuna altra parte del mondo e in nessun’altra organizzazione internazionale. Però la democrazia europea non è vissuta pienamente, non è “sentita” come una democrazia completa. Per tante ragioni.

Tra queste, c’è anche l’assenza di un vero spazio politico europeo ancora da costruire. Il rinnovamento europeo è necessario per riprendere controllo su questioni transnazionali che sfuggono ormai alla capacità degli stati nazionali. Il problema è che la politica è forse l’unica attività umana rimasta ancora prigioniera di confini e riflessi puramente nazionali, e in vari casi nazionalistici, e sinora non ha colmato lo scarto, l’asimmetria che c’è tra democrazia formale europea rappresentata dal Parlamento europeo, i cui membri secondo i trattati rappresentano tutti “i cittadini dell’Unione” e la realtà politica europea, ancora troppo nazionale. Le liste transnazionali sono gli embrioni di questa nuova dimensione della politica.

Dal 2016 mi sono battuto per portare avanti questa proposta. Durante la campagna per le presidenziali del 2017 e poi nel discorso della Sorbona, Emmanuel Macron ha ripreso questa proposta del governo italiano. Da allora, abbiamo lavorato fianco a fianco, con il presidente francese e con l’allora ministra per gli Affari europei francesi, Nathalie Loisieau, oggi mia collega parlamentare nella delegazione Renaissance e nel gruppo Renew Europe. Non riuscimmo a introdurre le liste transnazionali nel 2019 a causa dell’opposizione dei nazionalisti e della maggior parte del PPE. Ma decidemmo di proseguire questa battaglia.

Per questo, quando Emmanuel Macron decise di fare almeno in Francia quello che le destre avevano negato al resto dell’Europa non esitai a sostenerlo e a dare la mia disponibilità per incarnare questo progetto. Nella nostra lista Renaissance erano rappresentate 7 nazionalità europee, tra cui quella italiana. E furono anche fatte candidature incrociate, in Spagna e anche in Italia, dove in seguito alla mia candidatura con Renaissance il PD aprì in reciprocità le sue liste a Caterina Avanza di EnMarche. La campagna in Francia è stata per me, federalista europeo, l’esperienza più appassionante della mia vita politica.

A proposito di Brexit, nessuno oggi sembra ricordare che la partecipazione dei britannici non era prevista e per questo le liste dei candidati in Francia, in Italia e in altri paesi erano più lunghe rispetto al 2019. In base all’accordo Brexit infatti, la Francia guadagnava 5 deputati, l’Italia 3: gli elettori francesi hanno eletto 79 deputati anziché 74 come accadde nel 2014, l’Italia 76 anziché 73. Poi, all’ultimo momento, a causa del primo rinvio nei negoziati Brexit, i Britannici parteciparono alle elezioni europee. Ciò comportò il “congelamento” di 27 deputati in tutta l’UE che risultavano eletti già il 26 maggio 2019 ma che diventavano membri del Parlamento solo al momento dell’uscita formale del Regno Unito.

Gli attacchi che ho ricevuto dai veri nazionalisti o dai finti progressisti, e le campagne organizzate contro di me lo scorso anno per questa scelta, non hanno fatto altro che rafforzare la mia convinzione che si trattava della strada giusta, una scelta netta, radicale, una vera e forte alternativa agli euroscettici e agli euroipocriti. Una scelta che è per me una grande responsabilità e un forte impegno politico, affinché questa mia elezione non resti un caso isolato ma sia il preludio al rilancio del nostro sogno europeo e di un’istituzione ancor più democratica e vicina a tutti i popoli d’Europa.

Da quel voto negativo del Parlamento sulle liste transnazionali sono passati alcuni anni, e oggi abbiamo già ottenuto l’impegno da parte della Presidente Ursula von der Leyen e dei principali gruppi politici in Parlamento ad affrontare questo tema, per introdurle alle elezioni del 2024.

Per me sono giorni di forti emozioni. Ho studiato come tanti a Londra, ho tanti amici inglesi, di destra, centro e sinistra, alcuni di questi leavers. E l’uscita del Regno Unito è per me un errore storico. Ma è anche una scelta democratica che va assolutamente rispettata, anche se ho avuto l’impressione in questi anni che alcuni nelle varie capitali europee non lo avessero capito.

Ora divento Parlamentare europeo, l’unica istituzione europea dove non ho mai lavorato, tranne per un tirocinio, dopo aver lavorato 10 anni alla Commissione europea e aver con orgoglio rappresentato l’Italia per quattro anni e mezzo al Consiglio dei ministri UE. Per me, è la cosa più bella che potesse capitarmi da quando mi sono impegnato in politica. Mi sono battuto per questo. Ora mi batterò per dare il mio contributo a rinnovare l’Europa, a partire da quella Conferenza sul futuro europeo che deve dare vita alla più grande mobilitazione democratica e civica della storia della nostra Unione.