Accelerometri a un punto morto: sono i sensori d'immagine il futuro dei wearable?

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Il punto di partenza della ricerca è il fatto che negli ultimi anni gli accelerometri e gli altri sensori inerziali hanno dimostrato un basso grado di evoluzione nel rilevamento delle attività quotidiane. I sensori d'immagine potrebbero portare interessanti novità

"Gli accelerometri sono a un punto morto nel riconoscimento delle attività?" / "Are Accelerometers for Activity Recognition a Dead-end?", questa la domanda provocatoria che fa da titolo al documento che sintetizza le ricerche Catherine Tong, Shyam A. Tailor, Nicholas D. Lane, un progetto nato dalla collaborazione tre la University of Oxford e Samsung AI. Il punto di partenza della ricerca è il fatto che negli ultimi anni gli accelerometri e gli altri sensori inerziali hanno dimostrato un basso grado di evoluzione nei compiti di rilevamento delle attività quotidiane delle persone. I problemi che c'erano all'inizio sono ancora presenti, anche se in maniera mitigata, e non ci sono stati miglioramenti sostanziali nella tecnologia in tempi recenti. Il problema risiede nella bontà dei dispositivi, ma nel tipo di dato che generano, difficilmente contestualizzabile e quindi poco classificabile. Con dei set di dati di questo tipo gli algoritmi di deep learning, sebbene evolutisi nel tempo, non riescono a estrarre risultati di valore.

All'inizio della carriera degli accelerometri nei wearable i risultati sono stati molto interessanti, con alcuni passaggi molto importanti, tra cui la capacità di discernere tra i dati di una camminata e di una corsa e dal 2004 in poi , grazie ad alcuni importanti lavori di ricerca, con quella di interpretare correttamente più di venti attività quotidiane, tra cui guardare la TV o piegare la biancheria. I dati però restano decontestualizzati, non essendo gli accelerometri in grado di avere informazioni sull'ambiente circostante. Per fare un passo avanti nella rilevazione delle attività quotidiane e nel calcolo di fattori come il consumo calorico, serve altro, secondo il team di ricerca. Dare un contesto ai dati permette di migliore la classificazione, dando maggiore potere agli algoritmi di calcolo neurale. Un set di accelerometri, ad esempio, può capire se si è portato qualcosa alla bocca, ma no può capire se si sta assumendo un farmaco in pillola o mangiando una caramella.

Fotocamere nella fitness band?

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Il progetto di ricerca dell'Università di Oxford e di Samsung AI si è concentrato sul determinare la fattibilità di utilizzare sensori d'immagine al posto degli accelerometri per il rilevamento delle attività quotidiane. Partendo dall'assunto che oggi il potere computazionale dei dispositivi è ampiamente in grado di essere sfruttato per l'analisi delle immagini e del fatto che esistono sensori d'immagine in grado di consumare pochissima energia pur registrando in continuo a 30 fps, il team di ricerca ha investigato le potenzialità di questo approccio. La granularità dei dati e la loro contestualizzazione si sono dimostrate un punto chiave per sfruttare al meglio le reti neurali convoluzionali (CNN - Convolutional Neural Networks). I ricercatori portano un esempio: attualmente gli accelerometri riescono a capire se una persona sta digitando, ma non riescono a discernere se la digitazione avvenga sulla tastiera di un PC o su un telefonino. L'approccio basato sull'analisi delle immagini rende questo riconoscimento molto più facile.

Il concept di un possibile dispositivo è stato creato inserendo in diverse posizioni alcuni sensori d'immagine in uno smartwatch, ma sono possibili anche altri design, per evitare - ad esempio - il problema della copertura dei sensori da parte dei vestiti: gli occhiali sono uno di quelli migliori, ma non tutti li portano. Il team di ricerca ha utilizzato sensori in grado di riprendere immagini monocromatiche in formato QQVGA a trenta fotogrammi al secondo e calcolando il consumo generale dei vari componenti stimato un'autonomia di circa 13 ore con una batteria da 150mAh. Ottimizzando il sistema, riducendo il frame rate quando non necessario e basandosi su componenti studiate ad hoc, le prospettive di aumentare la vita della batteria sono buone.

La privacy?

Molti arrivati a questo punto si saranno posti la domanda relativa alla privacy: avere al polso un dispositivo che riprende immagini in continuo di quello che facciamo e di dove ci troviamo può essere effettivamente critico. Il gruppo di ricerca si è fatto la stessa domanda, ma evidenza come l'utilizzo di sensori d'immagine a bassa risoluzione, che per altro hanno un consumo energetico minore e richiedono meno capacità di calcolo, aumentando l'autonomia, possa essere una delle soluzioni ai problemi di privacy. Inoltre le immagini vengono processate direttamente sul dispositivo, senza che viaggino in rete verso il cloud. Solo i dati finali sulle attività riconosciute vengono poi trasmesse.

Un futuro multimodale?

Naturalmente la ricerca non vuole proporre un approccio basato esclusivamente sulle immagini, ma mettere in luce come l'integrazione dei sensori d'immagine possa rendere i rilevatori di attività quotidiana più precisi, lasciando agli accelerometri quei compiti dove comunque si rivelano ancora migliori. Ad esempio sono imbattibili, rispetto ai sensori d'immagine, per rilevare e identificare i tremori tipici di malattie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson. L'integrazione di sensori d'immagine può quindi far uscire i wearable da quello stallo tecnologico in cui sembrano essere finiti basandosi solo sui sensori inerziali.

Sarà interessante seguire gli sviluppi di questo studio e vedere come i wearable del futuro potranno essere più performanti nel rilevare nel nostre attività quotidiane.