Adesso l'Italia tratta segretamente con i libici per fermare l'immigrazione
Da Roma sarebbero state avviate trattative con Tripoli per le modifiche da apportare al memorandum, ma l'impressione è che il governo voglia capire meglio dai libici come fermare la nuova impennata di flussi migratori
by Mauro IndelicatoI numeri preoccupano, una potenziale situazione di crisi inizia a far sentire il fiato sul collo di un Viminale in cui, per adesso, si monitora il contesto senza però eccessivi allarmismi.
In Italia in questo mese di gennaio sono sbarcate quasi 1.300 persone, nello stesso periodo del 2019 il conteggio si era fermato a 155. L’aumento c’è, non è più soltanto un “lieve trend in rialzo” come nella parte finale dell’anno appena trascorso. Adesso si viaggia a ritmi che, in termini percentuali, parlando di un’impennata del 1.000%, troppo per non lasciare indifferenti responsabili politici e tecnici del ministero dell’interno.
Il nodo principale è rappresentato, come spesso da qualche anno a questa parte, dal dossier libico. Dal paese nordafricano si è tornati a partire e questo per via di tante convergenze. In primis, questo mese di gennaio da un punto di vista climatico è stato piuttosto mite, il mare ha presentato condizioni più favorevoli che in passato, dunque tanti trafficanti ne hanno approfittato per tirare fuori dai magazzini barconi e gommoni.
Ma il vero problema è l’instabilità che attanaglia la Libia. Pochi giorni fa nella foto ricordo della conferenza di Berlino, quella dove Giuseppe Conte cercava invano un posto in prima fila, i vari capi di governo europei sembravano soddisfatti. Si parlava di raggiungimento di una tregua, la stessa che non solo non è mai stata raggiunta, ma che dal punto di vista politico ha significato un congelamento delle posizioni in grado di dare tempo alle due controparti principali, ossia il governo di Al Sarraj e l’esercito di Haftar, di riorganizzarsi militarmente.
E mentre nel vecchio continente si discute ancora di politica e diplomazia, in Libia si spara ed il conflitto sta assorbendo tutte le forze in campo. Anche quelle addette, all’interno del governo di Al Sarraj, a sorvegliare le coste. La Guardia Costiera libica, questo viene ammesso a denti stretti dal Viminale, non funziona più come prima. Ammesso che prima funzionasse ovviamente. Di certo, se dal 2017 in poi comunque ha contribuito a riportare indietro centinaia di migranti, adesso non fa più nemmeno quello.
Nell’ultimo fine settimana, per intenderci, almeno 13 barconi sono partiti nel giro di 48 ore dalla Tripolitania. Più di 600 migranti sono stati raccolti dalle navi Ong, in 403 sono entrati in Italia a bordo della Ocean Viking, 282 si trovano sulla Open Arms. I numeri preoccupano doppiamente il Viminale: non solo la situazione potrebbe diventare complicata da gestire, ma a rischio c’è anche la tanto decantata solidarietà europea.
E qui occorre fare un passo indietro, a settembre: il governo giallorosso appena insediato, ha puntato molte sue fish, per quanto concerne l’immigrazione, sul vertice di Malta. Una passerella e poco più, in cui è stata stilata una bozza di cinque punti dove si parlava soprattutto di “redistribuzione”. Il premier Conte ed il ministro Lamorgese in quell’occasione hanno esultato: “Finalmente la solidarietà europea”, si diceva. Poi la doccia fredda l’8 ottobre successivo: la riunione dei ministri dell’interno dell’Ue ha registrato diverse defezioni dall’accordo di Malta, mai entrato in vigore. Ma non solo: la Germania, che ha sponsorizzato l’incontro a La Valletta, ha detto a chiare lettere che la solidarietà si potrà applicare solo se il numero di migranti arrivati in Italia si mantiene basso.
Adesso che la soglia psicologica di 1.000 è stata superata anche a gennaio, ora che gli aumenti superano il 1.000%, cosa si fa? Al ministero dell’interno si è preoccupati che, per via dell’attuale impennata, da Berlino e da Parigi arrivi il dietrofront sulla redistribuzione. Scoprendo dunque definitivamente le carte sul bluff operato a Malta.
Ecco perché dunque si inizia a parlare di trattative segrete con la Libia. Lo ha fatto il ministro degli esteri Luigi Di Maio ieri in parlamento, facendo riferimento a colloqui in corso con la controparte libica. Il problema è adesso capire di che tipo di trattative si parla. Come fatto notare da La Stampa, in un articolo di Francesco Grignetti, i dialoghi sono al momento “segreti” ed in questa fase questa circostanza è normale.
Infatti, la base delle trattative consiste nelle modifiche da attuare al memorandum tra Roma e Tripoli, rinnovato il 2 novembre scorso e che il prossimo 2 febbraio partirà automaticamente per altri 3 anni. Il governo, proprio a novembre, ha chiesto delle modifiche adesso in discussione con la controparte libica e, vista la delicatezza degli argomenti, non è inusuale che le trattative non vengano rese pubbliche. C’è da chiedersi però con chi si sta trattando. Il governo di Al Sarraj è retto solo da milizie, pronte a saltare il fosso per ragioni meramente economiche.
Lo stesso Viminale nei giorni scorsi, in un articolo di Alessandra Ziniti su Repubblica in cui sono state tirate in ballo fonti del ministero dell’interno, ha ammesso che è difficile trovare una controparte in Libia in questo momento. C’è la guerra, c’è il caos, c’è una situazione di totale destabilizzazione, le autorità libiche sono fragili già in tempi di (pseudo) pace, figurarsi quando a 15 km da Tripoli corrono le linee del fronte. Con chi si sta trattando dunque? E quali azioni verranno messe in campo?
L’impressione è che, dall’altra parte del Mediterraneo, hanno intuito una situazione di potenziale difficoltà dell’Italia sul fronte migratorio. E c’è chi già, sia all’interno del governo di Al Sarraj che tra le milizie, potrebbe aver iniziato a pensare di alzare la posta in gioco.