Cresce il negazionsimo perché non vogliamo riconoscerci nei carnefici

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Un’indagine Eurispes segnala un’aumento di chi non crede all'Olocausto: in 15 anni siamo passati dal 2,7% della popolazione al 15,6%. Dietro c'è tanta ignoranza ma anche il rifiuto di guardarsi allo specchio

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Lo ha detto con chiarezza anche Liliana Segre nel suo storico intervento al Parlamento Europeo: ricordare è una terribile fatica.
Accettare che ci sia stata un’epoca in cui in Europa si denunciavano i vicini di casa, gli insegnanti dei figli, i colleghi e i compagni di classe, per vederli poi salire sui treni piombati, è un compito difficile.
Significa doverci immedesimare, ci costringe a pensare: “Cosa avrei fatto io? Sarei stata tra quella minoranza che cercó di opporsi all’eliminazione scientifica di interi popoli da parte del progetto nazi fascista? Avrei approfittato di quell’appartamento rimasto vuoto dalla deportazione dei miei vicini di casa ebrei? Oppure sarei perlomeno stata tra quelli che hanno lanciato un tozzo di pane ai cadaveri ambulanti della marcia della morte?”.

Questo ha detto, e ha chiesto, la senatrice Segre ai parlamentari europei. E a questo dovrebbe servire il 27 gennaio: non solo a ricordare, ma a fare quello sforzo doloroso che ci permette di attualizzare la tragedia, di sentirci parte in causa, di non relegare tutto alle verità di comodo. Lasciar sedimentare la domanda terribile di Primo Levi – Se questo è un uomo – significa fare i conti con sè stessi. E molti italiani preferiscono evitarlo.

L’ultima indagine Eurispes ha infatti rivelato che gli italiani che negano l’esistenza dell’Olocausto sono cresciuti del 13% in quindici anni, passando dal 2,7% della popolazione, al 15,6%.
Come questo sia possibile – in un’epoca in cui ognuno di noi ha teoricamente accesso a milioni di fonti di informazione, tra le quali le foto dei lager o delle condizioni di vita nel ghetto di Varsavia, le testimonianze dei sopravvissuti, fino ai dettagli degli esperimenti di Menghele sui bambini – non credo si possa spiegare soltanto con la proliferazione delle fake news.

Oltre ad avere accesso all’infomazione sul web, inoltre, possiamo ragionevolmente ipotizzare che i negazionisti siano in possesso almeno del diploma di terza media, e abbiano studiato a scuola il nazi-fascismo e i suoi terrificanti piani di pulizia etnica.  La scuola italiana ha molte mancanze rispetto all’insegnamento della storia contemporanea, ma non la si può certo accusare di scarsa attenzione nei confronti dell’olocausto degli ebrei.

Non credo quindi che il negazionismo si radichi nella non conoscenza, quanto piuttosto nel desiderio di non sapere.
Negare la Shoah significa negare che italiani come noi abbiano collaborato significativamente e convintamente alla deportazione degli ebrei ad Auschwitz o Mauthausen. Sostenere che il racconto della Shoah sia una grande bluff c’entra più con il desiderio di autoassoluzione che con l’ignoranza.
Se nulla è successo, allora nulla può nuovamente succedere. Fa comodo, negare l’olocausto, perché permette di non guardare agli olocausti recenti, di cui siamo tutti responsabili.  In primis, quello che sta provocando la morte di migliaia di uomini, donne e bambini davanti alle nostre coste.

È necessario intervenire con forza per arginare questa tendenza negazionista, non soltanto raccontando ciò che è stato, ma scavando in profondità – insieme ai ragazzi – sulle ragioni che portarono molti popoli d’Europa a chiudere gli occhi davanti all’orrore.
Soltanto accettando il dolore di una profonda comprensione e di una radicata conoscenza delle Leggi razziali e delle loro conseguenze, si potrà tentare di evitare che questo succeda nuovamente.

Di dolore rinnovato ogni giorno ha parlato Liliana Segre ai parlamentari europei, commossi dalle parole di questa magnifica ottantenne, che abbiamo il dono di avere come Senatrice della Repubblica.
Non soltanto ai parlamentari, però, deve arrivare la forza di questo dolore.
Abbiamo bisogno di confrontarci tutti con le nostre responsabilità di italiani, di europei, di cittadini: la scuola deve iniziare a lavorare su metodi di apprendimento che sbarrino la strada alle fake news. Il 15% di negazionisti sono una percentuale inquietante che nessuna democrazia dovrebbe poter tollerare.