Emoji 2020, arriva il gesto italiano del "ma che vuoi?"
L’ente che gestisce la standardizzazione dei pittogrammi più famosi del mondo ha approvato una serie di nuove icone che arriveranno quest’anno su tutti gli smartphone: c’è anche un gesto che gli italiani riconosceranno subito
by ANDREA NEPORISe un americano, un australiano o un tedesco vi chiedesse di spiegare cosa significa il gesto della mano chiusa, con le dita raggruppata a cono verso l’alto, come rispondereste? Per gli italiani il significato, che può cambiare a seconda del contesto, è immediatamente chiaro. In generale il gesto indica una domanda del tipo “che vuoi”, “che dici”, “che fai”, ma anche “ma dove vai”, esplicitando sempre una richiesta impellente di chiarificazione di ciò di cui si sta parlando o di ciò che si sta facendo. La flessibilità del significato e del tono del gesto - ora scherzoso, ora arrabbiato - lo rende di difficile interpretazione per chi non sia cresciuto in Italia o non vi abbia vissuto abbastanza da familiarizzare con le complessità dei nostri atti illocutori.
Così il gesto del “chiedere qualche cosa”, come lo definiva l’etnografo Andrea De Jorio nel suo “La mimica degli antichi” del 1832, è allo stesso tempo il gesto italiano più famoso e più travisato all’estero. Lo dimostra l’uso scellerato che ne fanno gli attori americani in molti film, pensando basti unire le dita e muovere un po’ il polso per apparire immediatamente italiani, che è come dire che basta mangiare i crauti per dirsi tedeschi o ripetere ossessivamente “sorry” per fingersi canadesi.
Prepariamoci dunque a una nuova possibile ondata di misunderstanding: l’ente che gestisce la standardizzazione delle Emoji, l’Unicode Consortium, ha appena approvato un nuovo pittogramma che raffigura proprio il famoso gesto del “chiedere qualcosa”. L’icona è graficamente ineccepibile (ma bisognerà vedere come la declineranno i designer di Apple, Google, Facebook, Whatsapp e le altre sui loro servizi) e tuttavia già carente. Mancano infatti alcuni elementi fondamentali per determinarne le sfumature di significato: l’inclinazione e il movimento del polso - le emoji del resto non si possono animare come le gif - e la distanza della mano dal corpo. Ma vallo a spiegare all’Unicode Consortium.
L’icona è parte del pacchetto Emoji 13.0, approvato nei giorni scorsi, che le aziende implementeranno già quest’anno sugli smartphone. Dello stesso aggiornamento fanno parte anche altre 61 emoji, tra cui una fantastica faccina che ride con la lacrima (qui ci piace chiamarla emoji Leoncavallo: “Ridi del duol che t’avvelena il cor”), il bubble tea e la teiera piena di camomilla, l’involtino primavera e la fonduta, il ninja e il pickup, il gatto nero, l’orso bianco e il peperone verde.
Ci sono anche una serie di Emoji che piaceranno a Judith Butler e faranno invece schiumare di rabbia gli oppositori della “gender theory”: l’uomo che allatta, l’uomo col vestito da sposa, la donna col vestito da sposo, mamma Natale - una vecchia signora col vestito di Santa Claus - nonché il simbolo e la bandiera dell’orgoglio transessuale.
Tutti emblemi di un’apertura mentale che sarebbe il caso di applicare anche al “che vuoi”. Chi se ne importa, insomma, se gli stranieri continueranno a usare il “nostro” gesto in maniera sbagliata: noi continueremo a prenderli in giro e a ridere di loro e con loro.
Anche perché, a dirla tutta, gli italiani non possono vantare alcuna prelazione sul gesto di una mano con le dita chiuse a cono. Basta fare un giro su Twitter per scoprire che ad esempio molti utenti indiani ci vedono una mano che raccoglie un boccone di Dal Bhat oppure del riso. Che possiamo farci? Nulla, ovviamente, perché le emoji vivono di vita propria, e seguono evoluzioni di significato spesso imprevedibili, legate al loro uso globalizzato. In fondo nessuno poteva prevedere i nuovi significati erotici di una pesca o di una melanzana.