La vita sospesa dei Renziani
by By Fulvio Abbate, Fulvio AbbateMatteo Renzi ovvero non è necessario dirsi “di sinistra” per sentirsi, per dichiararsi orgogliosamente renziani. Semplificando essere e tempo nel mondo della geometria politica piana, ci si potrebbe accontentare d’essere “centristi”, peccato però che per un singolare caso della fisica dinamica non meno politica italiana il centro nel nostro paese, come i buchi neri, venuta meno la Democrazia cristiana, sembra puntualmente contrarsi fino a negare perfino un semplice atomo di se stesso. Per questa ragione, i renziani, i renzisti, i renziesi, come nella prodigiosa favola del Barone di Münchhausen, così come l’hanno trasposta al cinema i Monty Python, sembrano, almeno al momento, navigare sospesi in un cosmo buio e gassoso, intorno alla loro stella polare, esatto, sembrano sospesi nell’atmosfera, gli occhi rivolti al (già) apotropaico Matteo, magari in attesa del prossimo appuntamento elettorale che ne suggelli l’esistenza certificata o il baratro totale. I sondaggi non sembrano infatti incoraggianti, e questa sembra essere una notizia certa. Non entreremo però nel merito della legge elettorale, per amor proprio e soprattutto di fantasia, assodato che da circa trent’anni si discute d’ogni possibile variante di questa, senza tuttavia mai giungere alla forma sferica esatta.
Il silenzio recente di Renzi è bene tuttavia che inquieti, non sembra infatti corrispondere alla natura della persona, infatti, come ci fa notare qualcuno che lo conosce bene, egli, Renzi, “nasce boyscout, e i boyscout hanno la consegna di mai stare fermi”. Si spiegherebbe così la caratterialità o piuttosto iperattivismo del nostro campione. C’è così da aspettarsi presto qualcosa, un improvviso bagliore, un qualcosa in grado di nutrire il suo narcisismo volontaristico, e non potrà essere certamente una nuova “Leopolda”, se è vero che le carte spettacolari sembrano essere tutte surclassate dall’altro suo omonimo sovranista. Di certo, nell’attesa, usando una crudele battuta riferita all’agit-prop uso mano, non si potrà dire che il leader di Italia Viva possa, pensando o nuove risorse e mediatiche, “andare per citofoni”. Questi ultimi, si è visto, sono già appaltati da altri, né si può dire che funzionino nel migliore dei casi.
Le voci di dentro, fanno intanto notare che fuori dalla cassa di risonanza del Partito democratico Renzi non avrebbe margini, fiato, volume, spessore, già, né essere né tempo. Anche Italia Viva, partito-beauty case, almeno al momento si evidenzia soprattutto nel tratto permaloso dei suoi appassionati che presidiano i social, subito pronti a rivoltarsi all’unisono contro chi si dovesse semplicemente permettersi di mettere in discussione ancora una volta l’essere, il non essere e il divenire di Renzi e della sua avventura “riformista”: una scommessa “centrista”, nata dalla certezza di creare un magnete che possa anche attrarre coloro che hanno creduto all’improbabile “rivoluzione liberale” di Berlusconi in ogni sua declinazione possibile, compreso Carlo Calenda, altro campione di narcisismo, un solista di se stesso.E magari Brunetta come tamburo maggiore.
Sarà pur vero che la sinistra è in affanno e ormai oggettivamente minoritaria, ma è altrettanto sicuro che proprio in nome del vestito nuovo del cosiddetto Riformismo, negli ultimi decenni, in Italia e non solo, le riforme sembrano state fatte per avvantaggiare l’impresa, i “padroni”, piuttosto che i lavoratori, così in nome della flessibile “modernità”, dove quest’ultima, plasticamente parlando, corrisponde a un’oggettiva doverosa debolezza delle classi subalterne, sempre più in una posizione di difesa, a fronte di un populismo di destra demagogico e razzista a viso aperto. E non parleremo qui, allargando il discorso all’ambito dell’istruzione, della “Buona scuola”.
Sul batti e ribatti circa l’incompiutezza della sinistra italiana, a detta di alcuni bloccata tra tardo-leninismo e moralismo giansenista, così al di là della stessa santificazione a reti unificate di Enrico Berlinguer, nel tempo, passando per l’inenarrabile Veltroni e la sua portentosa “vocazione maggioritaria”, è cresciuto il vitello d’oro del renzismo, quasi che quest’ultimo fosse il doveroso necessario distillato prezioso di un compromesso storico finalmente raggiunto, in atto... L’ho detto che non è necessario dirsi di sinistra per essere renziani, renzisti, renziesi? Se poi politica culturale c’è stata, sempre forte dei suoi trascorsi da boyscout, è stato possibile innestare nuovi luoghi comuni nel discorso ancora una volta riformista, gli stessi già illustrati da Umberto Eco nella sua fenomenologia di Mike Bongiorno; c’è quasi un manifesto culturale, oltre che antropologico, nel rivederlo ragazzo e insieme concorrente della “Ruota della fortuna”, quasi che con quel gesto Renzi giungesse finalmente a dare piena credibilità pop a un arcipelago politico altrove ancora immobile nella supponenza elitaria perfino gramsciana, a emendare un partito da se stesso, ossia dal proprio zolfo, tutto ciò avvenuto come nella storia risaputa del cavallo di Troia…
Prima o poi, ma questo spetterà agli storici nei decenni a venire, si dovrà studiare come mai Renzi abbia deciso di lasciare il vecchio domicilio conquistato con pervicacia per il cavalluccio a dondolo di Italia Viva, proprio lui che aveva raggiunto cifre di consenso plebiscitarie, saranno stati pure fuochi di paglia, ma adesso, sia detto senza polemica e perfino con un tratto di umana simpatia per Matteo nostro, quali acrobazie dovrà escogitare per sopravvivere nella precaria situazione tra partito e governo? Come recita proprio il motto del barone di Münchhausen, “Mendace veritas”.
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