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Il deserto del Gobi in bicicletta e la ricerca del limite

Il 14 febbraio Omar Di Felice partità per la prima traversata invernale. Dovrà affrontare più di 2.000 km in totale autonomia con temperature fino a -40° C: «Il mio obiettivo? Tornare a casa sano e salvo»

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Gelato d’inverno, bollente d’estate, aridissimo tutto l’anno. Se esistesse una classifica dei luoghi più aspri, severi e inospitali della Terra il deserto del Gobi sarebbe certamente nelle primissime posizioni. Quando nel 2004 Reinhold Messner è diventato il primo uomo ad attraversarlo in autonomia ha spiegato che l’unico periodo in cui è possibile provarci è la primavera. Lui scelse di partire a maggio e procedere a piedi. Il 14 febbraio prossimo, sfidando la stagione, se stesso e pure la storia, Omar Di Felice partirà per tentare la sua personalissima impresa al Gobi: la traversata in bicicletta.

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«Quando si decide di affrontare una sfida del genere l’obiettivo è tornare a casa salvi, non farcela a tutti i costi» ci racconta mentre sta ultimando i preparativi per la partenza. Il programma prevede un viaggio di oltre 2000 chilometri in tre settimane (circa 100 km al giorno), ma molto dipenderà dalle condizioni che troverà lungo il percorso. Le temperature possono variare tra i -20° C e i  - 40° C, le poche piste tracciate cambiano di stagione in stagione e anche le tribù che popolano la zona si muovono seguendo il meteo. 

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«In questi mesi ho lavorato sulle mappe per costruire una serie di tracce e itinerari da seguire, ma è difficile prevedere gli scenari». Di certo le condizioni non consentiranno a Di Felice di avere un team di supporto, come era accaduto per esempio nelle precedenti esplorazioni nell’Articolo canadese o in Alaska. Partirà dalla capitale Ulan Bator e dovrà fare tutto da solo, seguire i consigli da remoto di una guida del posto e sperare di trovare qualcuno lungo il percorso disposto ad aiutarlo.

La bicicletta scelta per l’impresa pesa 10 chilogrammi, poi ci saranno altri 15/20 kg di bagagli: scorte di acqua, cibo, attrezzatura per la manutenzione del mezzo e soprattutto i dispositivi tecnologici per raccontare l’avventura. «Le apparecchiature elettroniche sono la cosa più pesante. In qualche modo compensano la leggerezza di tutto il resto dell’equipaggiamento e avvicinano il peso totale che dovrò portarmi dietro a quello delle antiche spedizioni» spiega abbozzando una risata. Poi torna subito serio e motiva il senso di questo sacrificio: «In passato le esplorazioni erano un concetto astratto, distante. Oggi la tecnologia le trasforma in realtà perché anche in zone remote del pianeta possono essere raccontate in diretta. Una delle mie missioni sarà proprio questa: comunicare il più possibile, essere sempre connesso, far vivere la mia avventura a chi mi seguirà da casa». 

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In questi mesi di allenamento Di Felice ha testato il suo corpo con sessioni di allenamento in condizioni estreme, prove di endurance e periodi di digiuno controllato. «Spero di poter fare tappe lunghe in modo da ridurre al minimo le soste. Voglio stare in sella il più possibile perché probabilmente quando scenderò dalla bici non troverò situazioni di comfort».

Il successo della spedizione dipenderà anche da questo. «Voglio arrivare alla fine di ogni giornata consapevole, cosciente e al sicuro. In caso contrario non avrò problemi a tirarmi indietro. Mi alleno duramente per non stressare la mente, essere lucido nei momenti più difficili e poter fare le scelte giuste». La sua consapevolezza è anche la sua forza: «Il deserto del Gobi e la Mongolia non si spostano, se i piani non vanno come previsto, potrei sempre riprovarci. Il limite va rispettato, mai oltrepassato». Per tenere a mente questi concetti porterà con sé dei biscotti di frolla preparati dalla sua compagna e insieme una buona dose di paura: «I primi mi ricordano casa, la seconda scaccia la tentazione di sentirsi un supereroe».

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