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(Foto: Sean Gallup/Getty Images)

È il giorno della Brexit: a mezzanotte il Regno Unito lascia l’Ue

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Il countdown per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea è arrivato al capolinea: ora si apriranno i negoziati e un periodo di transizione che potrebbe durare oltre il 2020

Ci siamo: il divorzio fra Londra e Bruxelles scatterà la sera del 31 gennaio a mezzanotte (le 23 britanniche). L’ultimo atto formale – dopo il voto del parlamento inglese, il royal asset della regina, il via libera del parlamento europeo – è stato il sigillo del Consiglio dell’Ue. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea non segna però la fine del lungo e complicato processo di Brexit: quasi tre anni e mezzo dal referendum
del giugno del 2016, che aveva visto il 52 per cento dei britannici votare a favore del Leave.

Un periodo di tempo dove si sono succeduti tre primi ministri e ci sono state due elezioni anticipate. Ma soprattutto anni caratterizzati da un esacerbato dibattito pubblico che ha monopolizzato l’attenzione di media e politica, che ora, quando si entra nel vivo della questione, sembra essersi assopito. Forse anche perché dal 1 febbraio cambierà poco: le bandiere Ue verranno tolte dagli uffici istituzionali (anche se in Scozia non sarà così), mentre Londra non avrà più accesso ai cablo diplomatici europei. Non ci saranno poi grandi festeggiamenti di piazza come si pensava all’inizio, e il Big Ben, in ristrutturazione, neanche suonerà per celebrare l’addio. Ci si prepara, insomma, al tempo dei negoziati intensi per arrivare all’accordo sulle relazioni future tra Ue e Regno Unito.

“L’alba di una nuova era”

Con queste parole Boris Johnson, attuale primo ministro del Regno Unito, ha salutato la formalizzazione di Brexit prima del discorso ufficiale alla nazione che, pur essendo di fatto stato in parte anticipato da Downing Street, si terrà oggi dopo che avrà presieduto una riunione speciale del governo a Sunderland, città simbolo del referendum del 2016 nel nord dell’Inghilterra. “Stanotte non segna una fine, ma un inizio”, ha detto il premier Tory, “un momento in cui spunta l’alba e si alza il sipario per un nuovo atto”. Il tempo che il Regno e il popolo britannico tornino a “unirsi per andare oltre” è arrivato, ha aggiunto.

Ma lo stesso Johnson – che ha trionfato alle ultime elezioni permettendo così di arrivare a un Eu Withdrawal Agreement Bill (la legge attuativa dell’accordo sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea) in parlamento – sembra guardare ad altro. Ovvero dentro il paese: tutta la sua agenda politica si è occupata, nell’ultima settimana, di questioni interne. E anche nel discorso si focalizza sulle disparità della madrepatria: “Non possiamo più accettare che le opportunità della vostra vita, della vita della vostra famiglia, debba dipendere da quale parte del paese siate nati”, ha specificato. Fatta la Brexit, verrebbe da dire che Boris voglia ricementare la società britannica, davanti alle spinte secessioniste della Scozia filo-europea e all’allarme della riunificazione irlandese. I Remainers, poi, si preparano per nuove battaglie.

“Tracciare insieme un nuovo percorso”

Dobbiamo guardare al futuro e costruire un nuovo partenariato”, scrivono Ursula Von der Leyen, Charles Michel e David Sassoli – rispettivamente presidente della Commissione, del Consiglio e del Parlamento dell’Ue – in un commento pubblicato su Repubblica. Una giornata, quella dell’addio dopo ben 47 anni di permanenza nell’Unione del Regno Unito, che sarà segnata da “emozioni contrastanti”. “Il nostro pensiero” – scrivono – “va a tutti coloro che hanno contribuito a fare dell’Unione europea ciò che è. A coloro che sono preoccupati per il loro futuro o delusi di vedere andarsene il Regno Unito. Ai membri britannici delle nostre istituzioni che hanno contribuito a plasmare politiche che hanno migliorato la vita di milioni di europei”.

Le sfide del futuro – dal digitale al cambiamento climatico – non si possono vincere da soli, ma solo stando uniti, spiegano. “Nelle settimane, nei mesi e negli anni a venire dovremo in parte allentare i legami meticolosamente tessuti per oltre cinquant’anni tra la Ue e il Regno Unito. E dovremo anche dedicarci con il massimo impegno a tracciare insieme un nuovo percorso come alleati, partner e amici”. I tre, poi, sottolineano un aspetto finora poco affrontato della Brexit, ovvero quanto tutto il lavoro fatto finora abbia in realtà avvicinato i due attori in gioco e quanto “l’Unione europea non è solo un mercato o una potenza economica, ma è un insieme di valori che tutti condividiamo e difendiamo”.

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(foto: Jeff J Mitchell/Getty Images)

E adesso?

Essenzialmente si dovranno aprire i negoziati commerciali e ci sarà così un periodo di transizione finora previsto fino alla fine del 2020, ma che potrebbe estendersi. Per questa eventualità il Regno Unito può presentare richiesta all’Ue prima del prossimo 1 luglio. Se Johnson ha già dichiarato di non voler chiedere alcuna proroga, i tempi sembrano dilatarsi già da subito: Londra sulla carta si dice pronta ad avviare i negoziati già da domani, mentre i membri dell’Ue stanno ancora discutendo i punti principali dei negoziati. Verosimilmente tutto partirà intorno a inizio marzo. I temi saranno essenzialmente sicurezza e cooperazione giudiziaria, istruzione, energia.

Sarà la fine del periodo di transizione a segnare effettivamente la fine del rapporto tra l’Ue e il Regno Unito. Senza un nuovo accordo – Von Der Leyen ha già avvisato sulla ristrettezza dei tempi – o un’estensione del periodo di transizione, si avrebbero gravi problemi, come si prospettava nello scenario no deal. In questi 11 mesi, di fatto, cambierà poco: sarà ancora possibile emigrare liberamente e cercare lavoro in Gran Bretagna, e viceversa per i cittadini britannici nei 27 paesi della Ue.