Finanza e crisi climatica: ora attendiamo il taglio degli investimenti nei fossili

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INA FASSBENDER via Getty Images

“Siamo sull’orlo di una completa trasformazione della finanza”, perché il climate change obbliga gli investitori “a riconsiderare le fondamenta stesse della finanza moderna”. Ha scritto Larry Fink, co-fondatore, ceo e presidente di Black Rock, il più grande fondo di investimenti mondiali che gestisce 7.000 miliardi di dollari. Il Rapporto presentato al World Economic Forum di Davos di quest’anno, per la prima volta, ritiene probabile che le prime 5 più importanti minacce per l’economia mondiale nel prossimo decennio siano tutte legate al cambiamento climatico. La BRI (Banca dei regolamenti internazionali) ha lanciato l’allarme: il climate change potrebbe essere il prossimo “cigno verde” che causerà una prossima crisi finanziaria globale che potrebbe essere devastante.

Questi sono i più noti e recenti allarmi lanciati dal mondo della finanza internazionale sui pericoli per l’economia globale causati dall’aggravamento in atto del riscaldamento globale. Questi allarmi non sono una novità: già nel 2015-per citare un esempio noto e autorevole - Nicholas Stern, professore di economia alla London School of Economics e già capo economista alla World Bank, pubblicava “Why are we waiting?”, dove analizzava i possibili impatti drammatici della crisi climatica sull’economia globale.

Da allora le emissioni mondiali di gas serra, nonostante l’Accordo di Parigi, hanno continuato la loro crescita e la crisi climatica si è aggravata. Sono cresciute anche le preoccupazioni e gli allarmi che stanno coinvolgendo il mondo della finanza. Questo coinvolgimento è una novità positiva, ma consiglierei di non dare per scontata una conversione ecologica. Attenderei fatti concreti, misurabili in risultati raggiunti.

Il recente Rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (WEO, 2019) ci informa che nell’ultimo periodo, 2014 -2018, nel mondo sono stati investiti ben 1.063 miliardi di dollari in media all’anno in fonti fossili (petrolio,carbone e gas), a fronte di una media, significativa ma decisamente inferiore, di 308 miliardi di dollari annui investiti in fonti rinnovabili. Se gli investitori sono preoccupati per la crisi climatica dovrebbero tagliare, in fretta e in modo consistente, gli investimenti nei fossili, spostandoli verso destinazioni sostenibili.

Il prezzo di mercato delle emissioni di carbonio, troppo basso proprio perché sottovaluta il costo degli impatti economici della crisi climatica, continua a rendere redditizi gli investimenti nei fossili. Chi è realmente convinto dell’impatto economico del riscaldamento globale dovrebbe sostenere l’introduzione di una consistente carbon tax che è indispensabile per evitare emissioni di carbonio gratuite o a bassissimo costo che incentivano gli investimenti nei fossili.

La carbon tax, che va accompagnata da adeguate compensazioni sociali e da un meccanismo di aggiustamento fiscale sulle importazioni ad alto contenuto di carbonio esentate da ogni tipo di carbon pricing nei Paesi di provenienza, trova invece un sostegno ancora molto limitato e riserve, ancora rilevanti, proprio nel mondo economico e della finanza.