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Al cinema "Il diritto di opporsi", storia di ingiustizia e pregiudizio

Un legal-drama solido, che sensibilizza su certe illogicità giuridiche ai danni della comunità afroamericana e condanna la disumanità della pena di morte.

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"Il diritto di opporsi" racconta una terribile storia vera, importante dal punto di vista umano, politico e sociale.
Il film di Destin Daniel Cretton è un legal-drama abbastanza tradizionale, che mette sotto accusa certi abusi di cui si macchia il sistema giudiziario americano e, in particolare, denuncia la barbarie della pena di morte.
Nella sua crociata contro il sistema ricorda un po' "Fino a prova contraria" di Eastwood ma è soprattutto nel dipingere come ci si senta nel braccio della morte che la memoria va a titoli quali "Dead Men Walking" e "Il Miglio Verde". Di questi ultimi però non replica la forza emotiva.
Il protagonista è un eroe del nostro tempo, ossia un giovane avvocato, Bryan Stevenson (Michael B. Jordan) che, dopo essersi laureato a Harvard, anziché scegliere di fare una brillante e ben remunerata carriera nel Nord degli Stati Uniti, torna nel natio Alabama, deciso a prestare assistenza legale, in gran parte pro bono, a chi non possa permettersela. Tra i suoi primi casi, affrontati col sostegno di un'avvocatessa locale (Brie Larson), ci sono soprattutto persone di colore che non hanno beneficiato di un regolare processo e che quindi, malgrado la condanna, sono a tutti gli effetti dei presunti innocenti. In particolare gli sta a cuore la vicenda di Walter McMillian (Jamie Foxx), cui è attribuito l'omicidio di una 18enne bianca, malgrado l'assenza di prove di colpevolezza e il fatto che l'unica testimonianza contro di lui provenga da un criminale con un motivo per mentire.
La peculiarità dell'ambientazione, Monroeville, cittadina dove, viene ricordato a più riprese nel film, Harper Lee scrisse "Il buio oltre la siepe", ci dice quanto poco sia cambiata la situazione rispetto agli anni ’30 raccontati nel romanzo. Il razzismo è qui perpetuato in maniera sfacciata e le autorità sembrano non tanto cercare giustizia quanto far contenta la gente (bianca) e "tranquillizzare la comunità", trovando in fretta un colpevole. La scelta, effettuata spesso sulla base dell'incredibile giustificazione "Basta guardarlo in faccia", ricade quasi sempre su individui afroamericani.
Il delicato argomento della pena di morte è affrontato grazie all'angosciante e toccante esecuzione di Herbert Richardson, un reduce di guerra affetto da sindrome post-traumatica di cui viviamo gli ultimi istanti di vita prima della sedia elettrica.
"Il diritto di opporsi" è un esempio di cinema sociale, poiché ci rammenta non solo come in alcuni stati i bianchi possano decidere arbitrariamente di usare persone di colore come capro espiatorio, quasi fosse nella loro natura esserlo, ma anche come risultino molti innocenti tra chi trova la morte per mano dello Stato. La narrazione solida, condotta con ritmo lento e costante, mostra le scorrettezze, le falle e gli squilibri di un sistema giuridico dimentico di quanto ogni vita umana sia preziosa, nonché reo di pregiudizi sociali e razziali.
Lodevoli non solo le interpretazioni dei due attori protagonisti, ma soprattutto il messaggio, attualissimo, circa la necessità di lottare per chi ha perso speranza e dignità, facendo valere il suo diritto di opporsi a una giustizia pilotata.
Un film, in definitiva, in grado di smuovere nel profondo, rammentando cosa siano la pietà e il rispetto per il prossimo, perché, come recita il mantra morale del protagonista, "non importa cosa hai fatto, la tua vita ha ancora valore".