La corruzione è questione di territorio. E il Lazio vanta un triste successo

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Bobboz via Getty Images

152 casi di corruzione con arresti eseguiti in tre anni, ovvero uno a settimana, considerando solo quelli scoperti e indagati dalla magistratura. Sono pochi? Sono tanti? Ad eccezione del Friuli Venezia Giulia e del Molise, per le quali non sono stati rilevati nuovi arresti nel triennio (anche se ci sono state perquisizioni e indagini), il nostro Paese continua nel suo triste primato e il Lazio, la regione dove vivo e in cui lavoro come consigliere regionale e capogruppo del MoVimento 5 Stelle, si intesta un “successone”: 22 casi di corruzione, siamo secondi solo alla Sicilia, che spicca con 28 episodi. Tantissimi se confrontati con i 29 registrati complessivamente per tutte le regioni del nord d’Italia. Come dire: la corruzione è una questione di territorio.

Il report dell’Anac “La corruzione in Italia: numeri, luoghi e contropartite del malaffare” ha il merito di non snocciolare soltanto dati ma, oltre che per il suo ruolo di Autorità nazionale anticorruzione, ha il pregio di costruire una base di dati per un progetto di definizione di un set di indicatori, che sia capace di individuare il rischio corruzione nella Pubblica amministrazione, ovvero prima che si compia l’atto corruttivo. E questo perché il malaffare è un fenomeno sociale vischioso, politico ed economico che colpisce tutti i Paesi, privando i cittadini di diritti fondamentali, quali la realizzazione di un’opera senza costi occulti e nuove tasse per realizzarla, mina la fiducia del cittadino nei confronti dello Stato e soprattutto della politica, tanto da alimentare forme di estremismo e divisioni sociali, e infine rallenta lo sviluppo del Paese.

Nella Giornata internazionale contro la corruzione, che cade oggi, e che è stata istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 2003, i numeri del report dell’Anac, che ho citato, mettono a disagio e ci consegnano ancora una volta la fotografia di una nazione incapace di imparare dai suoi errori.

Pensiamo al Mose, con Venezia sotto oltre un metro d’acqua alta per giorni e un progetto architettonico per separare la laguna di Venezia dalle acque del Mar Adriatico che non è entrato in azione anche a causa di milioni di tangenti e una ventina di condanne per frode fiscale, finanziamento illecito dei partiti e corruzione. Uno scandalo, questo del Mose, che si è nutrito della vecchia politica e che però non lascia immuni tutti gli altri: per questo abbiamo voluto, come M5S, e portato a dama, la legge sul whistleblowing e la “Spazzacorrotti”, che pochi giorni fa è stata riconosciuta come un vero strumento di cambiamento e lotta alla corruzione da parte dal Consiglio d’Europa.

Rispetto a qualche anno fa, e ce lo dice l’indice di Percezione della Corruzione di Transparency, stiamo migliorando: l’immagine del nostro Paese sta lentamente cambiando ma ognuno deve fare la sua parte. Tutti abbiamo un ruolo in questa lotta, non dobbiamo girarci dall’altra parte quando notiamo un comportamento illecito, non dobbiamo tollerare le piccole scorrettezze, non dobbiamo essere complici: se decidiamo di parlare e segnalare presunti illeciti o irregolarità abbiamo uno strumento che ci protegge e ci consente di farlo, la legge sul whistleblowing. Maggiore è la nostra conoscenza e la condivisione dell’informazione del presunto illecito e migliore sarà la capacità dell’Italia di far fronte al rischio corruzione, prevenirla.

In questo senso, anche il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, imprescindibile per la realizzazione del Codice degli appalti, deve essere firmato e licenziato al più presto da Giuseppe Conte. Se vogliamo davvero cambiare l’immagine che ha di sé questo Paese, e non solo quella che consegniamo al mondo, dobbiamo accelerare i tempi e continuare a portare avanti la lotta alla corruzione, anche impegnando le forze politiche responsabili. Perché se non combatti per porre termine alla corruzione e al marciume, finirai per farne parte, e come Stato non farai che coprirti di leggi solo per non combatterla.