Lo Stato spende più per il reddito di cittadinanza che per la giustizia

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e55evu via Getty Images

Provare a far ragionare i fautori e i sostenitori dell’abrogazione della prescrizione, sugli effetti nefasti che avrà sui tempi processuali, è impresa ardua. È come voler ragionare sulle regole del calcio con un hooligan. Anche chi non conosce i processi può agevolmente capire che se dopo il primo grado viene eliminato il tempo di estinzione della pretesa punitiva dello Stato, elemento fondamentale di stimolo alla celebrazione del processo, i tempi per la celebrazione dei processi in appello diventeranno senza fine.

I dati ministeriali evidenziano che la prescrizione di determinati reati, per lo più di scarso allarme sociale, avviene per questioni organizzative e per mancanza di fondi. Non a caso, per esempio, nel 2017 sul dato totale delle prescrizioni che si attesta sotto al 10% del totale di tutti i processi, il dato medio nazionale delle prescrizioni in appello è pari al 23,00% (la maggior parte per reati minori), con un dato locale che passa dall’1,24% di Trieste al 42,48% di Venezia.

Questo testimonia che il problema della lentezza dei processi è un problema di disorganizzazione e di carenza di risorse, che mancano o che comunque sono impegnate male, e non certamente della struttura del processo penale o della giusta fissazione di un termine alla pretesa punitiva dello Stato. Ma forse un altro dato è più indicativo.

Per l’anno 2019 lo Stato ha deciso uno stanziamento pari a 4.064,6 milioni di euro per la giustizia penale e civile. Per il reddito di cittadinanza, sempre per l’anno 2019, lo stanziamento è pari a 5.894 milioni di euro (Pag. 76: “In particolare, ai fini dell’erogazione del beneficio economico del RdC e della Pensione di cittadinanza, degli incentivi alle assunzioni, nonché dell’erogazione del Reddito di inclusione, sono autorizzati limiti di spesa nella misura di 5.894 milioni di euro nel 2019, di 7.131 milioni di euro nel 2020, di 7.355 milioni di euro nel 2021 e di 7.210 milioni di euro a decorrere dal 2022”).

Non è il caso di entrare nel merito delle scelte di politica sociale del governo, però veramente non si comprende perché questi quasi sei miliardi di euro non possano essere investiti per assumere del personale - i destinatari del reddito di cittadinanza, per esempio - nel comparto giustizia penale e civile. Abbiamo da un lato persone che non trovano lavoro, che vengono sostenute con il reddito di cittadinanza, e dall’altro un grave problema di carenza di personale nel settore giustizia.

È incomprensibile, sia in una logica normale, sia in una logica da campagna elettorale permanente. Eppure, il governo ha deciso di risolvere il problema della lungaggine dei processi abrogando la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, quindi non solo senza risolvere il problema, ma addirittura aggravandolo, come del resto segnalato da tutti gli addetti ai lavori (magistrati, avvocati, giuristi, professori universitari). Ma quale saranno gli effetti di questa “riforma epocale” sulla pelle di tutti i soggetti coinvolti nel processo?

Gli imputati saranno ostaggi a vita dello Stato, e lo saranno anche le parti lese, le vittime dei reati. Proprio quelle vittime nel nome delle quali un legislatore - intento più a contare i “like” e i voti che a risolvere i problemi - ha più volte dichiarato di voler attuare questa scellerata riforma. Dunque, dal primo gennaio in poi anche le vittime dei reati (commessi da quella data) si dovranno attrezzare con elisir di lunga vita, perché dovranno attendere decine di anni perché il processo penale che le vede vittime sia terminato. Dopo avere “abolito la povertà”, il governo si appresta ad abolire la ragionevole durata dei processi. Sul primo risultato c’è più di qualche perplessità, sul secondo no.