Il mal d’Appennino

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ANSA
Mugello

Il sisma che stanotte ha scosso la dorsale che collega la Toscana all’Emilia è ancora una riprova che l’Appennino, il cuore della nostra Italia, è una terra fragile e insicura. Un massiccio vitale e magmatico, il cui movimento è scandito sul metro dei secoli piuttosto che degli anni. Il primo ricordo risvegliato dall’ultimo terremoto è stato non a caso quello di un secolo addietro, il 1919, quando la terra tremò come ha tremato stanotte.

I danni non sono stati ingenti e la macchina della protezione civile e degli enti locali ha reagito tempestivamente. Quel che resta è invece proprio una profonda impressione di fragilità, che va oltre il terremoto ma che il terremoto richiama all’attenzione. Sono le aree interne. Chi vive in montagna è abituato alle scosse, ci convive, e condivide ovunque si trovi, sull’Aspromonte come sulle prealpi friulane, una consapevolezza di precarietà che oltre che tellurica è economica ed esistenziale. È quello che Ignazio Silone chiamava “mal d’Appennino”, l’incertezza del migrante.

Ma come ha ricordato Giuseppe Lupo, l’Appennino è anche una terra di utopie e di città ideali, da Francesco d’Assisi a Campanella, da Danilo Dolci a Dossetti ed è tra i montanari, come scriveva Machiavelli, che la repubblica dovrebbe reclutare i suoi eserciti civili.

Superato il trauma e la voglia di ricominciare con la vita di tutti i giorni, dopo il terremoto resta questa ricerca di stabilità. È la necessità profonda di un Paese di aree interne come l’Italia. Piuttosto che di nuove autonomie e divisioni, di regionalismi e municipalismi avremmo bisogno proprio di specchiarci in queste aree interne per capire dove ci troviamo, quanto è duro e profondo lo spopolamento, l’invecchiamento, l’abbandono dei campi, il disboscamento, la deindustrializzazione e quanto è buia la sera senza strade, senza treni, senza scuole e senza fabbriche.

Nel corso degli ultimi anni ho dovuto spesso protestare contro la chiusura degli uffici postali dei piccoli centri e ho provato a consolidare la manutenzione delle ferrovie, riaprendone alcune che erano chiuse a causa di frane, come la Porrettana.

Il centrosinistra, il Partito Democratico a partire dalla Toscana e dall’Emilia-Romagna dovrebbero convocare gli stati generali delle aree interne. Un grande lavoro di studio e proposta politica al quale potrebbero dare importanti contributi personalità come Fabrizio Barca che da ministro aveva concepito una Strategia nazionale per lo sviluppo delle Aree Interne (Snai), ben 72 zone di intervento, di cui 32 nel Mezzogiorno. Parliamo di circa il 60% del territorio nazionale, puntellato di piccoli comuni con una popolazione di poche centinaia di abitanti. Esattamente la metà degli ottomila comuni italiani, il 22% della popolazione complessiva. Territori lontani dai servizi essenziali come scuola, sanità e mobilità e segnati da forte emigrazione e calo demografico.

Queste aree sono anche le zone a maggiore sismicità del Paese, cui bisognerebbe destinare un vero piano di prevenzione fondato sul consolidamento degli abitati e delle strutture pubbliche, anzitutto scuole, ospedali, municipi e luoghi di culto. Parlo della Toscana. Dal nostro quadro conoscitivo emerge un censimento di circa 1.900 edifici pubblici, in 90 Comuni. Di questi ben 496 edifici sono in attesa di interventi e certamente le risorse disponibili non sono sufficienti.

Servirebbe un piano pluriennale sistematico, una vera politica pubblica di prevenzione e mitigazione del rischio di dissesto che a partire dal suolo e dal reticolo idraulico raggiunga i centri abitati e le case. Sarebbe una vera strategia a difesa del nostro popolo e di contrasto alla destra leghista, che è un vero parassita dell’insicurezza sociale e della fragilità territoriale. Una linea per battere questa destra cinica e contraddittoria da volere la flat tax e fare il pieno di voti nelle aree interne. Sarebbe questo un buon inizio per far calare la politica dagli astri dei massimi sistemi alla vita quotidiana.

Per il centrosinistra potrebbe essere una buona occasione per far pulizia di inutili demagogie, politicismi e avventure populiste.