Inseriamo lo spread generazionale come indicatore nella legge di stabilità

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tampatra via Getty Images

Lo spread della condizione sociale per i giovani italiani nel 2018 è stato a 128 “punti base”. La rilevazione cioè del divario generazionale, l’indice che misura il grado di difficoltà che un giovane deve affrontare per raggiungere le principali tappe della vita autonoma personale e professionale, è stata effettuata dalla Fondazione Visentini che per il terzo anno consecutivo ha presentato il proprio rapporto sul tema.

Una ricerca approfondita - con dati e analisi curate da Luciano Monti professore della Luiss e co-direttore della Fondazione - che racconta come tra il 2007 e il 2014 ci sia stato il periodo peggiore, con l’indice di questo “divario generazionale” arrivato al picco di 134.

Questa misurazione “scientifica” (ben 13 gli indicatori usati per definire l’index: mercato lavoro; abitazione; pensioni; debito pubblico; tasso di partecipazione politica; salute; reddito; ambiente; capitale umano; credito e risparmio; legalità; ricerca e innovazione; parità di genere) mette in evidenza i problemi già noti ai più e può aiutare, non solo a leggere la realtà, ma anche a capire come e dove intervenire.

I sette anni indicati sono stati in generale quelli più difficili a causa della “grande crisi” e tra quelli che più di tutti l’hanno pagata, ci sono state le nuove generazioni. Sostanzialmente per due motivazioni: il protrarsi di una crisi sia economica che di sistema rivelatasi profonda e difficile; la marginalizazione del gruppo sociale più debole, cioè i giovani.

Il 2018, l’ultimo per il quale è possibile avere completezza di dati e comporre una stima organica, fissa quindi questo “spread generazionale” a 128 punti (dopo essere calata significativamente negli anni precedenti), qualche punto in meno del periodo di massima crisi ma comunque una situazione complessiva da attenzionare.

La giusta attenzione deve però diventare “allarme rosso” se si va a valutare il differenziale di questo spread tra territori diversi: sul modello cioè del rapporto Germania/Italia o Germania/altro Paese Ue, lo studio analizza come sia possibile misurare lo “spread sociale” tra giovani del nord e giovani del sud del nostro Paese. Indicando il primo come l’area territoriale migliore e di riferimento (in questo schema appunto il nord dell’Italia come la Germania e il sud come il Vecchio Continente).

Entrando quindi nel dettaglio delle macroaree regionali, il differenziale del divario generazionale è, nel 2018, di 450 punti per il Mezzogiorno.

In questo caso sono 8 gli indicatori utilizzati per definire l’indice nel rapporto territoriale che riguarda Nord e Sud del Paese: il differenziale del mercato del lavoro; le politiche (e i costi) abitative; la distante situazione del reddito; il contesto dell’ambiente e del benessere; l’investimento sul capitale umano; il credito e il risparmio; le attività di ricerca e innovazione; le politiche di parità di genere. Con la seguente associazione: il Mezzogiorno sta al btp dell’italia come il Nord sta ai bund della Germania.

“Conoscere per deliberare” è uno degli aforismi più noti di Luigi Einaudi, l’economista e primo Presidente della Repubblica. Questa analisi, questi numeri aiutano certamente a conoscere ma dovrebbero essere utili anche per deliberare nuove politiche e provvedimenti, misure necessarie per abbattere questo spread (nazionale e per macroaree) oggi così alto sostanzialmente per 5 motivi (indicatori): la politica pensionistica; l’alto debito pubblico; il basso reddito; il basso investimento sul capitale umano; la debole parità di genere.

Questi sono i cinque angoli che determinano il perimetro delle cose da fare per abbattere questo spread in generale e per far risalire la china alla condizione giovanile. A questi andrebbero aggiunte altre tre politiche: investimenti pluriennali frutto di programmazione; una forte integrazione con programmi e iniziative europee rivolte ai giovani evitando doppioni e sovrapposizioni; una più forte spinta alla mobilità e attrazione di persone, idee, aziende, ricercatori verso il nostro Paese.

Una particolare riflessione va fatta infine, con riferimento al capitale umano. Alla sua valorizzazione e all’investimento che si realizza sui giovani. Formazione, istruzione, apprendimento, ​acquisizione di competenze, sono tutti titoli di capitoli da sviluppare meglio. Rappresentano i punti di forza che l’Europa mette in campo per i propri giovani (e non solo) e che rendono qualificate, aperte e forti le nostre nuove generazioni.

Non siamo competitivi in molti settori industriali ma in questo ambito, come Europa, abbiamo invece molto da dire e sarebbe un rischio se l’Italia non cogliesse vantaggi e punti di forza che l’Unione Europea produce concretamente attraverso le politiche di mobilità e l’acquisizione di competenze.

Guardando il dettaglio da Roma in giù, tra il 2004 e il 2018 sono circa 40.000 i giovani del sud che hanno trasferito la loro residenza in altro Stato europeo o extraeuropeo. È una perdita secca non solo di persone e affetti ma di risorse istruite e formate che stanno già oggi valorizzando altrove loro formazione, istruzione, competenze: è una perdita di capitale umano.

Il divario generazionale dovrebbe essere argomento da legge di stabilità: nel fare le scelte su dove e come investire le risorse, sulla programmazione, sulle valutazioni per l’oggi e per il domani, sulla misurazione reale degli obiettivi. Avere a cuore e nella mente l’abbattimento di questo specifico spread dovrebbe essere una priorità, non sempre è stato così.