I DEM SI ATTACCANO AI MOVIMENTI
Sardine indigeste al Pd in crisi di idee. Dai Girotondi in poi solo flop
by Alessandro GiuliSe la sinistra avesse buona memoria dovrebbe guardarsi dal pericolo d’indigestione da sardine. E invece niente. Ancora ieri Repubblica apriva la prima pagina con un titolo-strillo che pareva un tragicomico presagio: «Sorpresa Sardine. Tentato un elettore su 4». Succede sempre così, almeno da quando Silvio Berlusconi è sceso in politica e i post comunisti sono entrati in una drammatica crisi d’identità: in assenza di una proposta programmatica chiara e credibile, lo spauracchio dell’autocrate è l’unico cemento plausibile per mettere su un simulacro di coalizione goscista.
È andata in questo modo con le smanie uliviste per un quarto di secolo berlusconiano, promette di non essere diverso, ora, con Matteo Salvini e (forse) Giorgia Meloni. Peccato che il partito-guida della sinistra, il Pd, non abbia ancora imparato la lezione: ogni qual volta si fa appello alla società civile e si mettono in campo soluzioni immaginarie di natura extra politica, passando dalla scorciatoia delle piazze più o meno autoconvocate, i primi a pagare dazio sono proprio i democratici, le cui leadership vengono sistematicamente sacrificate sull’altare di una presunta palingenesi popolare. E tutto ciò senza che il nemico-spauracchio di destra ne abbia particolarmente a soffrire.
Vi ricordate dei girotondi inaugurati da Nanni Moretti nel 2002 con lo slogan «con questi dirigenti non vinceremo mai»? Ebbene, quel movimento guidato dal regista insieme con Francesco Pancho Pardi e Paolo Flore d’Arcais si sarebbe rivelato, tra l’altro, la tomba di Massimo D’Alema e della sua stagione e l’incubatore della più infeconda leadership che si ricordi, quella del capo sindacalista Sergio Cofferati.
Ci si riprovò nel 2009 con il Popolo viola e i suoi «No-Berlusconi day», il suo feticismo costituzionale e la sua carica anti politica che avrebbe fatto precocemente invecchiare Walter Veltroni e poi spianato la strada, di lì a pochi anni, al Movimento Cinque stelle. Infine fu la volta del Movimento arancione, escogitazione di una filiera di sindaci o aspiranti tali che hanno infestato le primarie e i piani egemonici di Pier Luigi Bersani: da Luigi De Magistris a Napoli fino a Rosario Crocetta in Sicilia passando per Giuliano Pisapia a Milano e Marco Doria a Genova. È stata un’altra sbronza collettiva sulla quale ha potuto fermentare il grillismo; grazie all’illusione che la società civile, improvvisatasi soggetto civico attivo, potesse riuscire lì dove fallivano le nomenclature dei partiti.
Negli ultimi anni soltanto Matteo Renzi, a quanto pare, è rimasto immune a certe sirene che ora trovano nella metafora ittica delle sardine la loro incarnazione aggiornata e al passo coi tempi. Ma tutto lascia credere che sarà l’ennesimo falso scopo, un abbaglio che si regge sulla legittima vanità dei ragazzini bolognesi in cerca di una ribalta e sulla strabica compiacenza del circo mediatico alla perenne ricerca di un merchandising post politico da immettere nel mercato del consenso. I social network garantiscono intanto un effetto moltiplicatore che intimidisce per primi i dirigenti democratici. Nicola Zingaretti rischia di esserne la vittima più illustre, compreso com’è nel ruolo del pesce grosso predestinato alla tonnara delle prossime regionali. E la metafora cruenta non si addice non soltanto al caso calabrese, dove il candidato di sinistra Pippo Callipo continuerà a confezionare un eccellente tonno anche dopo una prevedibile sconfitta che, se associata a un rovescio in Emilia-Romagna, potrebbe invece mandare in pezzi la segreteria del Pd.