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Cina-Stati Uniti (Getty Images)

La Cina vuole fare a meno di pc e software stranieri

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Pechino ha imposto l’obbligo di sostituire nei prossimi tre anni tutti i pc e i software di produzione straniera in uso nella pubblica amministrazione con prodotti locali

Al protezionismo tecnologico statunitense la Cina ora risponde con la stessa moneta. Secondo quanto riportato dal Financial Times, Pechino avrebbe deciso di imporre l’obbligo di sostituire entro i prossimi tre anni tutti gli hardware e i software di produzione straniera attualmente in uso presso uffici e istituzioni pubbliche e governative del Paese con prodotti nazionali.

Difficile non vedere la decisione come una reazione diretta contro la posizione portata avanti dell’amministrazione del presidente Donald Trump, che ha messo molti colossi tecnologici cinesi, tra cui soprattutto Huawei e Zte, sulla lista nera delle compagnie con cui è vietato fare affari per le aziende statunitensi in ragione di possibili rischi per la “sicurezza nazionale”.

Con la decisione della Repubblica popolare, quindi, entro il 2022 potrebbero sparire dagli uffici della pubblica amministrazione cinese le forniture da parte di giganti come Microsoft, HpDell e altri, sostituiti da hardwre e software di produttori interni come per esempio Lenovo, proprietario della divisione personal computer di Ibm e già utilizzato da molte istituzioni pubbliche del Paese asiatico.

Secondo quanto riportato ancora dal quotidiano britannico, entro la fine del 2020 la Cina provvederà alla sostituzione del 30% delle “macchine” straniere attualmente in uso, del 50% nel 2021, e infine del rimanente 20% entro la fine del 2022, secondo uno schema ribattezzato “3-5-2”. Nel complesso si stima che dovranno essere sostituiti all’incirca tra i 20 e i 30 milioni di pezzi, dando così un enorme impulso alla produzione interna nel settore tecnologico e informatico, che, secondo i dati pubblicati dall’agenzia americana Export.gov, entro il 2021 dovrebbe arrivare a valere circa il 55% del prodotto interno lordo della nazione.

Ma, così come da parte americana l’applicazione della messa al bando delle big tech cinesi ha visto necessariamente qualche deroga e la concessione di licenze speciali, anche sul fronte cinese l’applicazione stretta della nuova normativa sarà sicuramente difficile. Molti dispositivi, tra cui quelli di Lenovo, montano infatti microprocessori Intel o hard disk samsung, per non parlare dei software, perlopiù Windows o MacOs, che saranno complicati da sostituire in blocco.

Insomma, la scommessa su una possibile autarchia tecnologica sia da parte della Cina sia da parte degli Stati Uniti deve fare i conti con un mercato che è sempre più globalizzato e transnazionale, e dove ogni posizione protezionistica rischia di rivelarsi quantomeno una lama a doppio taglio.