Silvio Orlando: “Paolo Sorrentino ha il film in testa, tu puoi solo rovinarlo"

L'attore napoletano si racconta: “Ho perso mamma a 9 anni. Al funerale papà mi faceva le facce buffe. La comicità mi ha salvato"

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Franco Origlia via Getty Images

La critica come punto di partenza dalla quale migliorarsi. Silvio Orlando, 62 anni, è alla continua e disperata ricerca di giudizi negativi perché affetto da una malattia, che lui stesso definisce “sindrome dell’impostore”: “Quando leggo dieci che parlano bene di me, poi, l’undicesimo neanche parla male, ma così e così, eppure, penso che è l’unico sincero”. Dalle pagine del Corriere della Sera, Orlando racconta le sue storie personali che gli hanno permesso di diventare l’uomo - e l’attore -  che è oggi. Dalla sua insicurezza (“Ho l’ansia di piacere a tutti, cosa impossibile”), al rapporto John Malkovich, il nuovo protagonista della serie The New Pope di Paolo Sorrentino, in uscita il 10 gennaio prossimo.

“Non me l’hanno presentato. Provavo una scena e l’ho visto arrivare, come sfumando dalla nebbia, elegantissimo, meraviglioso. Me lo sono trovato di fronte. Abbiamo iniziato a recitare, lui con la sua voce ipnotizzante, io povero e piccolo nel mio saio. Dopodiché, è stato il primo anglosassone di cui sono diventato quasi amico”.

Amicizia instaurata anche con l’altro inglese che interpretava il papa rivoluzionario, Jude Law, ma che seppur semplice “resta una divinità”. Così, dagli attori si passa ai registi con le loro particolarità e differenze.

“Sorrentino ha in testa un film già fatto che tu devi rifare e puoi solo rovinare. Allora, a te viene l’ansia e in lui senti la minaccia di uragano in arrivo. La differenza con Nanni Moretti è che Nanni esplode, tutti si fanno piccoli piccoli e questo fa gruppo. Invece, Paolo sta sempre per esplodere e non esplode mai. Però sai anche che è un’occasione irripetibile e che lui sta chiedendo a sé e a tutti  una cosa mai fatta. Lui ti costringe a rompere i tuoi automatismi”.

Nei panni del cardinale Angelo Voiello ha imparato un elemento tipico dei preti, la solitudine. Epidemia, come tende a definirla lui, che porta a chiudersi fino all’isolamento totale: “Specie nell’adolescenza e nella vecchiaia, negli anni in cui hai più paura di affrontare le sfide o in cui, se puoi, le sfide le eviti”.

“La depressione è una risposta anche politica: non esistono più le masse, gli studenti, gli operai, ma solo individui che si sentono irrilevanti e, da soli, sono meno attrezzati per sopravvivere”

Il suo mestiere, che lo pone sempre a contatto con l’esterno, e sua moglie (“mi tutela, mi pedina, è il mio cane da guardia”) gli evitano fortunatamente di cadere in questo buco nero. Senso di solitudine che potrebbe derivare dalla perdita della madre quando era ancora un bambino. Un altro elemento in comune con Sorrentino e Jude Law, entrambi orfani dei genitori in età molto giovane. Un evento che “ti definisce come uomo”, ma che gli ha permesso di superare le difficoltà, grazie anche all’aiuto che il padre è riuscito a fornirgli.

“Ho perso mia madre a nove anni. Dopo, ha contato la mancanza, ma, prima, la malattia. Lunga tre anni. Quando mi interrogo su cosa ha fatto di me l’attore che sono, devo rispondermi che è stato solo quello. Quei tre anni. Se chiudo gli occhi, vedo ancora la decadenza del corpo, l’essere solo male che ti rende spietato. Da lì, l’idea che il peggio che può succedere è niente, se non uno spunto per ribaltamenti comici. Avere un padre simpatico mi ha aiutato: quando il prete dava a mamma l’estrema unzione, mi ha fatto una faccia buffa delle sue”.
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Arthur Mola/Invision/AP