Valentino Rossi-Hamilton a Valencia, oggi la sfida impossibile

Gli assi della velocità scendono in pista a mezzi invertiti. Interessi commerciali il motore di tutto, come quando Alì affrontò Inoki

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Valentino Rossi e Lewis Hamilton

Roma, 9 dicembre 2019 - Detta subito come va detta, il rischio è che possa trattarsi di una carnevalata, di una di quelle cose che hanno un senso soltanto perché muovono una curiosità fine a se stessa. Eppure, lo spettacolino che Lewis Hamilton e Valentino Rossi metteranno in scena oggi, sul circuito permanente di Valencia, ecco, forse ha una sua dignità, al di là degli interessi commerciali.

Per capirci. Entrambi i protagonisti del regno della velocità mai hanno nascosto la loro attrazione per il...mezzo dell’altro. Vale, quando ancora non era spuntato nei cieli della MotoGP l’astro Marquez, aveva addirittura sperimentato l’ebbrezza della Formula 1, provando e riprovando la Ferrari di Michael Schumacher. Pare andasse pure forte, tanto che all’allora presidente Montezemolo sarebbe piaciuto assai lanciarlo nel mondiale a quattro ruote. Ma Rossi, alla fine della fiera, non se la sentì di lasciare la via vecchia per la nuova e buonanotte suonatori.

Hamilton, lui, ha un debole per le moto. Se le compra (i soldi mica gli mancano, eh), noleggia circuiti, va a divertirsi e tiene la Mercedes all’oscuro delle sue derapate, perché il contratto con la Freccia d’Argento gli impedirebbe di assumere certi rischi.
Oggi, invece, sono tutti d’accordo e zero problemi.

Valentino piloterà la Mercedes del 2017, Lewis salirà in sella alla Yamaha del pesarese. Il confronto sarà solo teorico, previsti grandi sorrisi e pacche sulle spalle, in palio fortunatamente non c’è nulla, se non un po’ (via, facciamo tanto) di denaro.
Del resto, i soldi sempre sono il legittimo motore (termine giusto al posto giusto) di simili iniziative. Nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso, per dire, Muhammad Ali, allora re assoluto dei pesi massimi, si fece coprire d’oro per affrontare in un bizzarro match il sovrano giapponese delle arti marziali, il leggendario Inoki. Il pugile poteva usare le mani, il lottatore i piedi: il verdetto fu di parità, lo show fu vagamente imbarazzante ma in giro per il mondo gli spettatori si contarono a decine e decine di milioni.

Non bastarono invece i quattrini, subito dopo l’Olimpiade londinese del 2012, per convincere Usain Bolt e Mo Farah a sfidarsi sulla insolita distanza (per i diretti interessati) degli 800 metri. L’idea era quella di portare insieme in pista l’Imperatore della velocità e il dominatore del mezzo fondo: ma i manager non trovarono l’accordo (cioè, facilmente qui si presume, ritennero troppo bassa l’offerta). Vabbè, andò peggio al mitico Jesse Owens. Per campare nell’America razzista dell’epoca, dopo aver vinto quattro ori alla Olimpiade di Berlino del 1936, correva contro i cavalli.

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