Il difesa del Cardellino, il film flop che vi consiglio di vedere

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Stroncato alla critica, ignorato dal pubblico, disponibile in streaming ma non in sala, questo film è una raffinata riflessione sulla fragilità dell'esistenza e la potenza dell'arte messa in scena da un grande cast

Diffidare dai film che piacciono a tutti, fidarsi di quelli che vengono guardati con sospetto, stroncati o definiti flop. È con questo approccio, da cinefilo curioso e allergico ai pregiudizi, che va visto l’atteso Il cardellino, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo firmato Donna Tartt, vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa nel 2014. È stato definito uno dei peggiori esordi di sempre, non solo dalla critica ma dallo stesso botteghino: costato 45 milioni di dollari negli Stati Uniti, dove è uscito a settembre scorso, ne ha incassati poco più di due milioni e mezzo. Verrebbe da dire che è per questo che in Italia il film non fa neanche mezzo passaggio in sala, ma è presente solo in streaming su diverse piattaforme (Apple TV, iTunes, Google Play, YouTube, Infinity, Sky Primafila, Chili, Rakuten, Timvision, Playstation Store e Microsoft Film&TV).

La domanda si pone spontanea: è giusto aver privato un film di spessore culturale come Il cardellino dell’uscita in sala? Facendo una rapida rassegna dei tanti, troppi titoli del tutto privi di qualsivoglia spessore che siamo costretti a ritrovarci tra le uscite del weekend, verrebbe da rispondere negativamente.

Il punto è che anche vedendo il film il dubbio che non sia stato affatto compreso da pubblico e critica permane. Se adattare 900 pagine in 2 ore e mezza di film non è uno scherzo, il regista irlandese John Crowley sembra riuscirci con una certa destrezza, firmando un film insieme raffinato e coinvolgente. La forza sta senz’altro su un cast eccezionale che va da Nicole KidmanAnsel Elgort e Jeffrey Wright – ma anche Finn Wolfhard di Stranger Things nel ruolo di uno strampalato dark boy – e nella fotografia di Roger Deakins. Ma soprattutto nella storia, il dramma del piccolo Theo rimasto solo al mondo dopo un attentato in un museo. Un’esplosione che lo priva di tutto, ma non gli toglie la voglia di stare al mondo e di lottare.

Ad aiutarlo, nel suo complicato percorso di crescita puntellato costantemente da lutti e ferite, due figure chiave: Nicole Kidman, madre di un suo compagno di scuola e presto sostituzione ideale della figura materna, e Jeffrey Wright, antiquario professionista che lo accoglierà in casa, gli insegnerà il mestiere e gli darà la lezione di vita più preziosa, nella scena più memorabile ed emozionante del film. Quella sulla mortalità dell’umanità e l’immortalità dell’arte. Tutti moriamo, dice Wright in un monologo da incorniciare, solo l’arte rimarrà nei secoli ad affascinare, ispirare, raccontare ai posteri chi siamo stati o cosa saremmo potuti diventare.

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Così Il cardellino, opera dipinta dall’olandese Carel Fabritius nel 1654, anno della sua morte, e presunta persa nell’esplosione, merita di essere riconsegnato all’umanità, rivedere la luce e  tornare a far parte di quel ricco patrimonio d’arte che deve essere sempre e comunque posto ben al di sopra dei meschini interessi personali.

Così Theo, che nel frattempo abbiamo visto crescere sullo schermo e superare una serie di prove esistenziali più ardue che mai, imparerà a sue spese a non cedere alla tentazione di smerciare il falso nelle opere d’arte, o di trattenere per sé quanto di più prezioso, quasi a voler sostituire con un’opera d’arte un affetto andato perduto (sua madre, presenza fantasmatica che ripercorre tutto il film). Una storia di segreti, ossessioni, dilemmi, ceneri del passato, fughe, bugie, ritorni, tutto nella matrioska del genere romanzo di formazione.

Il cardellino è un film troppo alto, colto e raffinato, viene da pensare, per questo non è stato capito. Affronta a viso aperto i drammi dell’esistenza umana senza rinunciare alla grazia onnipervasiva dell’arte, vero raggio di sole nella cupezza quotidiana. Fa ripensare al film di Tornatore, La migliore offerta, di cui Il cardellino potrebbe essere erede, ma viene in mente soprattutto che di film sull’arte – che non siano meri biopic di artisti – se ne fanno sempre troppo pochi. Dalla visione di Il cardellino, invece, si esce con un rispetto rinnovato per chi attraverso l’arte ha reso le nostre esistenze migliori, e al contempo con la voglia di sapere che ne sarà del protagonista, Theo. Fosse uscito in sala, chiederemmo subito un sequel di Il cardellino. Allora forse, quando si vociferava che sarebbe stato meglio farne una serie tv, non si era poi così distanti dal ragionevole.

Una sola avvertenza finale: It’s All Over Now, Baby Blue vi risuonerà dentro per parecchio.