La rivoluzione si fa dal basso: Napoli c'è

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Ansa

I cambiamenti climatici si possono e si debbono contrastare anche dalle città. È più difficile, ma bisogna agire. È necessario puntare sulle politiche dei beni comuni, con fatti e non parole. Per esempio, a Napoli ci abbiamo provato sin dall’inizio: la nostra è l’unica città d’Italia ad aver attuato il referendum popolare del 2011 sull’acqua pubblica che prevede niente privati, niente multinazionali, ma utili per il profitto sociale. L’azienda (ABC, acqua bene comune) non solo possiede un bilancio non in rosso, ma ha effettuato assunzioni di personale e realizzato un lavoro fondamentale a tutela delle fonti d’acqua e delle riserve idriche. 

Inoltre, per la prima volta nella storia della città, si è puntato fortemente su pedonalizzazioni e piste ciclabili, oltre ovviamente alle aree a traffico limitato. L’ordinanza per il porto di Napoli denuclearizzato ne è un altro esempio: un porto aperto all’umanità e chiuso alle navi da guerra con armi nucleari.

Ancora, l’ordinanza per l’elettrificazione delle banchine portuali per ridurre le emissioni dei fumi delle navi e l’ordinanza plastic free sul lungomare pedonalizzato. Nel 2019, poi, sia il comune che la città metropolitana hanno adottato delle delibere senza precedenti: “ossigeno bene comune”, un piano strategico per misure strutturali tese a contrastare i cambiamenti climatici attraverso operazioni di rigenerazione urbana, bonifiche, valorizzazione del patrimonio, agricoltura urbana, difesa e ripristino delle linee di costa e spiagge pubbliche, misure contro il dissesto idrogeologico, energie alternative e rinnovabili.

Tra le tante misure, esiste soprattutto un piano per la riforestazione urbana dell’intera area metropolitana di Napoli: tre milioni di alberi in tre anni, per 92 comuni, per 3.500.000 di cittadini. Inoltre, per la sola Napoli, circa 15 milioni per la riqualificazione di parchi ridotti in cattivo stato per la mancanza di manutenzione dovuta al collasso economico al quale sono stati ridotti i comuni. 

Non è tutto, Napoli in Italia si è posizionata terza per start up giovanili, molte delle quali nel settore della green economy.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la difesa del Pianeta passa anche attraverso una rivoluzione culturale. Si deve abbattere un modello politico-economico-finanziario basato sul consumismo senza regole, sull’accaparramento delle risorse e sul profitto senza uguaglianza e giustizia sociale.

La rivoluzione si fa, come sostengo e sosterrò sempre, dal basso. Nonostante Napoli sia una città difficile e complessa, con tante ferite e molti problemi, credo sia essenziale provare a invertire la rotta del pensiero unico ultra liberista, ed è per questo che siamo impegnati nel creare una rete di città ribelli che si oppongono alla deriva costruendo modelli alternativi culturali, politici, sociali ed economici. Vogliamo dimostrare agli scettici che l’alternativa ci può essere, bisogna però volerla e smetterla di essere complici, conniventi o indifferenti.