Uomini e topi nella ricerca non sono uguali

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D-Keine via Getty Images

Sono stati considerati i migliori amici degli scienziati ed è in dubbio che i topi offrano numerosi vantaggi nella ricerca scientifica: sono piccoli ed economici, facili da allevare, generano una prole numerosa, hanno una vita sufficientemente breve da valutare gli effetti delle manipolazioni su più generazioni. Inoltre condividono con l’uomo circa l’85% del genoma.

Tuttavia negli ultimi anni sta emergendo il dubbio che non siano così affidabili, ossia che i risultati osservati nelle cavie non possano essere trasferiti font court sull’uomo. 

Troppe differenze nel metabolismo dei farmaci ad esempio le troppe discordanze tra le specie quando si guarda all’espressione genica che dà luogo alle malattie. I topi e le cavie entrano da protagonisti nei laboratori di ricerca intorno al 1870 introdotti da Robert Koch che li impiegò per testare il suo vaccino. Ma se si sono rivelati insostituibili per dare informazioni sulla contagiosità di un patogeno o sulla tossicità di una sostanza, diventano meno attendibili quando si tratta di studiare l’adattamento di un organismo all’ambiente. 

Lo studio della loro anatomia, fisiologia e genetica ha permesso di manipolarne alcune famiglie tramite l’allevamento selettivo di esemplari con particolari caratteristiche, la manipolazione genetica diretta per renderli suscettibili o resistenti ad alcune malattie o ad alcune sostanze per creare modelli di malattia.

Il problema è però l’incapacità di prevedere con precisione le risposte umane traslate dalle informazioni che ci vengono dal modello animale. Tanto per fare un esempio nota 8 in un ampio studio che ha confrontato la tossicità di droghe, il modello di murino ha previsto correttamente gli effetti negativi sull’uomo solo nel 43% dei casi.

E anche vengono prese in considerazione due specie animali la predizione si rivelava accurata solo nel 71% dei casi. I motivi? Le evidenti diversità biochimiche, fisiologiche e ambientali. 

Quello che è efficace nell’animale non sempre lo è nell’uomo. 

Oltre a differenze di assorbimento, metabolismo ed escrezione delle sostanze influenzato anche dalla dieta. Solo per fare un esempio i topi sono diversi da noi negli enzimi del citocromo P450 e nella composizione del microbiota intestinale che metabolizza il 75% dei farmaci. Differenza che potrebbe falsare i risultati. Una revisione della letteratura (2006) ha dimostrato che dei risultati degli studi citati sulle più prestigiose riviste mediche solo il 37% era replicato sull’uomo e il 18% veniva francamente contraddetto con un impatto economico chiamato ‘costo del fallimento’. 

Ecco perché titoli come sigaretta elettronica tossica, trovato il vaccino contro il cancro, alle porte il trattamento contro l’ansia, se studiati solo sugli animali non dovrebbero essere presi come oro colato, anzi dovrebbero essere sottoposti ad una critica obiettiva che ridimensioni i facili entusiasmi. 

Per esempio, in un recente studio effettuato su cellule in coltura di polmone immaturo irrorate con vapore di sigaretta elettronica contenente comuni aromi, si è vista una reazione tossica. Così pure cavie di laboratorio affetti da malattia allergica  delle vie aeree sottoposti ad inalazione di vapori di e-cig aromatizzati sviluppavano asma.

Gli autori suggerivano cautela nell’uso di sigaretta elettronica tra gli asmatici e auspicavano ulteriori indagini ai fini di una regolamentazione dell’uso della e-cig. Ma una prova di laboratorio in condizioni sperimentali, su linee cellulari o su topolini di laboratorio geneticamente adattati al bisogno, non può essere semplicisticamente traslata sull’uomo.  

Noi giornalisti dobbiamo quindi assimilare il concetto di ‘rilevanza clinica’ e ricordare che non sempre gli studi avranno un effetto diretto sulla salute umana. Nel frattempo i ricercatori del Technian Israel Institute of Technology ha messo a punto uno strumento che si basa sull’apprendimento automatico (machine learning) per predire quali scoperte sui modelli animali possono funzionare nell’uomo.