Paese vecchio e famiglie sole, questa la vera sfida

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Jose Luis Pelaez Inc via Getty Images

Ieri e oggi sono accaduti due eventi che hanno portato a due notizie: il primo è la diffusione del rapporto di Eucoop sui dati raccolti dall’ispettorato del lavoro in merito alle motivazioni che inducono i genitori ad abbandonare il proprio lavoro.

Il secondo è ciò che è avvenuto oggi durante la trasmissione ‘Mezz’ora in più’ dove il ministro Gualtieri e il segretario della Lega Matteo Salvini si sono sfidati a distanza, promettendo un confronto diretto a gennaio, sul tema delle risorse che il governo stanzierà nella manovra di bilancio per agevolare l’accesso delle famiglie agli asili nido. In realtà quest’ultima notizia è di per se composta da due fatti unici: parlare finalmente di asili nido in un confronto tv e che a farlo siano due uomini. Speriamo bene.

Il rapporto EUcoop ci pone di fronti a dati terribili ma che non ci possono cogliere di sorpresa, essendo solo gli ultimi di una lunga scia negativa. 1 genitore su 3 abbandona il lavoro per dedicarsi ai figli, in numeri si parla di circa 49000 dimissioni.

Di questi il 27% lo fa per mancanza di una rete familiare in supporto, il 7% per l’incidenza dei costi di asili nido e baby sitter, il 2% per il mancato accoglimento dei figli al nido.

Mancano in questo conteggio tutte quelle donne che spesso nel mondo del lavoro nemmeno ci entrano, magari anche solo in previsione di farsi una famiglia. Ci ricordiamo infatti mai troppo spesso di come il nostro paese sia fanalino di coda in Europa per occupazione femminile, con un tasso del 53,1%. Numeri che al proprio interno vedono ancora forti disuguaglianze per fasce d’età, provenienza geografica, reddito, tipologia di lavoro.

Manca ancora un numero: l’istat ci dice che l’11,1% di donne in Italia con almeno un figlio non ha mai lavorato.

Gli esperti di statistica ci diranno che sono dati diversi, magari raccolti con metodologie diverse e che non possono esser assommati.

Ma per chi fa politica o comunque si occupa della cosa pubblica e del bene delle persone questi dati non possono che farci dire che è ora di smetterla di pensare che questi numeri e questo modello di servizi e di welfare possano andare molto oltre.

Soprattutto se a questi dati aggiungiamo quelli demografici: un paese sempre più vecchio e famiglie sempre più piccole. Oggi sono stati annunciati investimenti e fondi nella legge di bilancio sia per il taglio delle rette degli asili nido sia per la costruzione di nuove strutture di servizi per l’infanzia. Una buona notizia, alla quale vanno aggiunte alcune riflessioni di lunga visione rispetto al futuro del nostro sistema di welfare e quindi del nostro paese.

La prima è che il dato vero che emerge dal rapporto Eucoop è che quelle famiglie che rinunciano al lavoro per mancanza di rete ci stanno dicendo che sono famiglie sempre più sole. Ciò significa che il modello di welfare all’italiana che fonda la propria esistenza sulla presenza dei nonni si sta sgretolando e ad oggi non c’è un modello di servizi universali sostitutivo.

Significa anche che per ogni persona, uomo o donna che sia ma sappiamo che quasi sempre la ‘scelta’ spetta alla donna, che rinuncia al lavoro ci sarà una famiglia più povera e meno libera. Perché quando le persone si impoveriscono e devono fare scelte obbligate queste persone perdono un po’ della propria libertà. La libertà di scegliere il proprio futuro.

Quello che serve quindi non è un investimento solo economico o solo dedicato alla prima infanzia. Serve un a radicale modifica del nostro stato sociale, della nostra cultura anche lavorativa che integri sempre più servizio pubblico e servizio privato accessibile, affinché le esigenze che queste famiglie sole avranno lungo tutto il corso della vita siano ascoltate e assecondate.

Prima i figli piccoli, poi quelli adolescenti e infine, o magari contemporaneamente, la cura dei genitori anziani. Avvenimenti che non sono fatalità, ma sono altamente prevedibili e uno Stato giusto deve consentire a ogni persona, ogni famiglia di non ‘dover’ scegliere ma di ‘poter’ scegliere liberamente come prendersi cura dei propri cari. Asili nido,servizi per l’infanzia flessibili e integrati, scuole aperte, servizi pomeridiani alternativi alla strada, servizi per anziani. Una cultura del lavoro che metta al centro davvero le persone e che non veda come unico obbligo (sempre troppo spesso femminile) il part time.

Uno Stato che pensa a questo, che lascia le famiglie meno sole, sarà uno Stato più ricco, meno vecchio e meno impaurito dal futuro.

La seconda riflessione da aggiungere è la distribuzione delle risorse economiche e infrastrutturali che si vogliono mettere in campo. Nel nostro paese abbiamo regioni, come l’Emilia Romagna in cui abito, che già da qualche anno hanno in maniera lungimirante messo a disposizione dei comuni risorse per abbassare le rette e innovare i servizi all’infanzia, ma non ovunque sappiamo essere così. Serve una mappatura completa dei servizi a disposizione delle famiglie per andare a colmare quelle disuguaglianze che sembrano solo numeri ma che ogni giorno invece colpiscono donne e famiglie reali.

Infine un’ultima considerazione. Se vogliamo invertire la rotta e cambiare la cultura del welfare del nostro paese dobbiamo anche partire dalle parole, perché si sa, è il linguaggio che fa il pensiero. Gli obblighi non sono scelte, perché non si sceglie di stare a casa dal lavoro quando non ho alternative.

La conciliazione non esiste, non cambia la cultura e la società perché l’unico effetto è quello di essere tutte acrobate nel circo della nostra vita. Serve, e dovrebbe esistere, la condivisione della cura, la condivisione nella famiglia e la condivisione con uno Stato che magari sentirò anche un po’ più vicino, un po’ più mio e che così sarà meno vecchio e povero.