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Caso Yara, Massimo Bossetti: “Quel DNA non è mio. La procura mi impedisce di difendermi”

“Quel DNA non è mio. È scandaloso che non mi permettano di difendermi indagando sui reperti”. Così in una lettera al direttore di Libero, Vittorio Feltri, Massimo Bossetti. Il muratore di Mapello condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio ha gridato la sua rabbia per il no della Procura di Bergamo a esami condotti dalla difesa sui campioni biologici dai quali è stato estratto il DNA che si è attribuito a Bossetti. “I miei figli – ha concluso – hanno bisogno di un padre”.

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Massimo Bossetti grida la sua rabbia per la decisione della Procura di Bergamo. Il muratore di Mapello che sta scontando l'ergastolo per l'omicidio della tredicenne Yara Gambirasio ha scritto al direttore di Liberto, Vittorio Feltri, per ribadire le sue ragioni sulla richiesta di un esame approfondito, da parte della difesa, del reperto che lo ha condannato: il DNA. Solo qualche giorno fa l'avvocato difensore di Bossetti, Claudio Salvagni, aveva dato notizia del sì della Corte a nuovi esami sui campioni biologici che contengono il codice genetico di Bossetti. Dopo questa notizia, tuttavia, la Procura di Bergamo ha fatto dietrofront. È Massimo Bossetti stesso a spiegarlo con parole sue:

"Le chiedo gentilmente di non tralasciar nulla di quanto continuo a dover subire dalla giustizia italiana – scrive al direttore Feltri – Com'è possibile che venga trasmessa alla mia difesa l'autorizzazione da parte della Corte, successiva all'istanza depositata dall'avvocato Salvagni qualche giorno fa, di poter accedere ai reperti, a indagare sui reperti di Dna ancora disponibili, e a esaminarli con i miei consulenti; conservandoli per i futuri esami. E dopo 48 ore la procura di Bergamo mi nega di fare ulteriori accertamenti e le dovute indagini sui reperti consentiti, non solo nel fare una ‘ricognizione' senza poterci mettere mano".

"Scandaloso tutto questo – continua – Io mi chiedo, come posso difendermi nel provare la mia estraneità, se non mi permettono di difendermi a dovere indagando sui reperti nell'accertare l'assoluta granitica certezza, che quel DNA non mi appartiene. Per favore dottor Feltri, mi aiuti nel gridare facendosi sentire quanto d'inumano continuo a dover subire, e per quanto tutti noi cittadini "purtroppo" restiamo nelle loro mani. I miei figli soffrono e hanno bisogno del loro padre".