«L’ultima occasione di Carrie Lam»
Domenica a Hong Kong c'è stata la più grande protesta degli ultimi mesi, presentata come un ultimatum al governo
Domenica 8 dicembre c’è stata una nuova grossa manifestazione anti-governativa a Hong Kong, con centinaia di migliaia di persone che hanno sfilato nel centro della città a sei mesi dall’inizio delle proteste, cominciate il 9 giugno scorso. È stata perlopiù pacifica, secondo gli organizzatori del Civil Human Rights Front – un gruppo che raccoglie movimenti e associazioni pro-democratici – c’erano 800mila manifestanti, secondo la polizia erano 183mila. La marcia è stata comunque una delle più partecipate degli ultimi mesi e la prima autorizzata dalla polizia da metà agosto: un ordinamento dell’epoca coloniale stabilisce infatti che gli incontri con più di 30 persone debbano essere approvati dalla polizia, cosa che non accadeva da quasi 4 mesi a causa degli scontri avvenuti durante le proteste.
La polizia ha detto di aver arrestato 11 persone prima della marcia e di aver sequestrato, per la prima volta, una pistola. Non ci sono stati episodi violenti, tranne il lancio di bombe molotov contro la Corte Suprema e la Corte di ultimo appello, condannato dal governo, dalla polizia e dagli organizzatori della marcia.
Verso la fine del percorso – iniziato al Victoria Park e terminato nel distretto finanziario del centro – i manifestanti hanno usato i telefonini per illuminare la strada e cantato slogan contro il governo; molti urlavano contro i poliziotti accusandoli, scrive Al Jazeera, di essere «assassini, stupratori e criminali». Gli organizzatori hanno anche detto che questa è l’ultima occasione del governo, guidato da Carrie Lam, di andare incontro alle loro richieste, che prevedono tra le altre cose l’amnistia per le circa mille persone arrestate durante le proteste, un’indagine indipendente sul comportamento della polizia durante le manifestazioni ed elezioni libere per eleggere un nuovo parlamento e un nuovo governatore. Sabato il governo, che in questi mesi ha alternato rigidità e concessioni, aveva invitato alla calma, ammettendo di aver «imparato la lezione e di essere pronto ad ascoltare con umiltà e di accettare le critiche»; a marcia finita aveva ricordato di stare cercando «un modo per risolvere i problemi di Hong Kong attraverso il dialogo».
Quella di domenica è stata la prima grande manifestazione dalle elezioni dei consigli distrettuali di Hong Kong, che due settimane fa avevano visto la vittoria del fronte pro-democratico, con 390 seggi su 452; avevano votato 1,7 milioni di persone, con una rara affluenza del 71 per cento. Nel frattempo, scrive sempre Al Jazeera, i manifestanti stanno cercando di ottenere un sostegno internazionale alla loro causa, spiegando le loro ragioni sui social network e costituendo delegazioni e gruppi di pressione all’estero, tra cui a Bruxelles, Londra e Canberra. A fine novembre avevano ottenuto una importante vittoria dagli Stati Uniti, con l’approvazione da parte del Congresso e con la firma del presidente Donald Trump di due leggi in loro favore: una prevede sanzioni per i funzionari pubblici colpevoli di violazioni dei diritti umani a Hong Kong, l’altra vieta la vendita alla regione di armi per il controllo e la gestione dell’ordine publico, come lacrimogeni e proiettili di gomma.
Le proteste erano iniziate a giugno per chiedere il ritiro di una legge che avrebbe consentito, per alcuni crimini gravi, l’estradizione in Cina: era vista come l’inizio di una pericolosa ingerenza del governo cinese nella regione, la cui autonomia era sempre più minacciata, oltre che uno strumento per colpire i dissidenti. Dopo mesi di manifestazioni e scontri, tra cui due marce con circa un milione di persone ad agosto, il governo di Hong Kong aveva ritirato l’emendamento. Non era stato però più sufficiente per fermare i manifestanti, che avevano allargato le loro richieste includendo anche le dimissioni della governatrice Lam e maggiori libertà democratiche. Da giugno, circa seimila persone sono state arrestate e ferite, poliziotti compresi.