A che punto sono le proteste in Iraq
by Alessio FoderiLe manifestazioni hanno portato in due mesi a più di 400 vittime, con un picco di scontri sanguinosi nelle ultime 48 ore che ha portato alle dimissioni il primo ministro Adel Abdul Mahdi
Il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha annunciato le sue dimissioni dopo le parole dell’ayatollah Al Sistani che, questa mattina, invitava il parlamento a togliere la fiducia al suo governo. La più alta autorità dell’Islam sciita iracheno ha così condannato l’utilizzo della forza contro i manifestanti, soprattutto nelle ultime ore quando le violenze si sono trasformate in un bagno di sangue. In questa nuova ondata di scontri tra polizia e manifestanti hanno infatti perso la vita, secondo fonti locali, più di 50 persone nelle città di Najaf, Nassiriya e Baghdad, portando a oltre 400 il bilancio delle vittime dall’inizio delle proteste anti-governative. Da ottobre i cittadini hanno iniziato a opporsi alle politiche del primo ministro, lamentando l’alto tasso di disoccupazione e la corruzione dilagante nel paese.
Adil al-Dikhili, governatore della regione di Dhi Qar, dov’è Nassiriya, ha chiesto il ritiro dell’esercito e ha annunciato le sue dimissioni. Anche il suo gesto, anticipando il discorso dell’ayatollah, si è dimostrato contro il governo centrale: “L’offensiva continua e gli incidenti sanguinosi non hanno di sicuro calmato le violenze” ha scritto al primo ministro. Si capisce dunque come nel giro di circa 48 ore la situazione sia precipitata. Proprio a Nassiriya infatti c’è stato il più alto numero di vittime quando l’esercito – arrivato mercoledì per prestare aiuto alle forze dell’ordine locali – ha sparato contro i manifestanti, uccidendo più di 30 persone. Ma nell’epicentro delle proteste, piazza Tahrir a Baghdad, adesso i manifestanti tirano un sospiro di sollievo ed esultano alla notizia delle dimissioni, vedendo una riforma del sistema con una nuova classe politica più vicina.
L’ombra dell’Iran
Un altro motivo delle proteste è stato sicuramente l’influenza esercitata dall’Iran nella politica irachena. Nella città di Najaf, un’altra città fulcro degli scontri a sud di Baghdad, i manifestanti avevano incendiato, nella notte tra mercoledì e giovedì, il consolato iraniano dopo che, per tutto il giorno, lo avevano circoscritto scontrandosi con la polizia. Cioè è fortemente simbolico di come la presenza di Teheran all’interno dell’Iraq – e soprattutto la sua influenza nel governo di Mahdi – sia mal accettata dai cittadini. Se nel mentre l’Iran ha condannato l’incendio, la rabbia dei cittadini che gridavano “fuori l’Iran” non si è assolutamente spenta.
Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, nel 2006, e durante la guerra allo Stato islamico degli anni successivi, sono stati moltissimi gli investimenti dell’Iran in Iraq, sia dal punto di vista militare che economico. Così l’influenza finanziaria di Teheran si è quasi anteposta a quella di Washington. Secondo due recenti inchieste, rispettivamente dell’Associated Press e di Reuters, sarebbe proprio l’Iran – nei panni del potente generale Qassem Suleimani, capo delle guardie rivoluzionarie iraniane – a controllare quanto stesse avvenendo in Iraq, sin da inizio ottobre, quando sono iniziate le proteste.
L’Iraq da circa un anno è guidato dallo sciita Abdul Mahdi e sin dall’insediamento, per molti, la presenza dell’Iran, a maggioranza sciita, è stata tangibile. Protestare contro l’establishment equivale così, in un certo qual modo, ad essere anti-Iran. Dall’altro lato, ampliando la prospettiva di analisi, il governo si troverebbe stretto in una morsa: conservare le relazioni con gli Stati Uniti e non perdere l’appoggio economico di Teheran. Situazione non facile se si considerano anche le tensioni fra i due paesi in questione.
La situazione del paese
Quel che rimane certo, oltre all’altissimo numero di vittime dall’inizio delle manifestazioni, è anche la grave condizione in cui versa il paese, secondo produttore di petrolio al mondo. Secondo Trasparency International l’Iraq è al 12esimo posto per la corruzione su scala mondiale. Secondo gli ultimi dati, una persona su cinque è sotto la soglia di povertà e, secondo la Banca Mondiale, un giovane su quattro non ha un’occupazione. Tutto questo ha sicuramente contribuito ad alimentare le proteste, considerate le più forti e violente degli ultimi quindici anni nel paese.