Afghanistan, il "Mullah Donald" e il patto con i Talebani. Storia di un fallimento

Il presidente Usa fa uno spot elettorale. Qui la guerra è per le rotte della droga, e gli occidentali stanno a guardare

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ASSOCIATED PRESS

Fa uno spot elettorale della serie “ragazzi, tranquilli, presto vi riporterò a casa”, dove quel “presto” sta per prima delle elezioni presidenziali del novembre 20020. E poi sceglie il “male minore”. E poco importa che quel “male” ha rappresentato la ragione dichiarata di una guerra lunga diciotto anni. “Mullah Donald” ha sentenziato che il nuovo Afghanistan, plurale, democratico, de-talebanizzato, è una illusione che non vale più la pena coltivare.

I negoziati con i Talebani sono ripresi dopo l’interruzione nello scorso settembre, ha annunciato Donald Trump, ieri in Afghanistan per una visita a sorpresa nella base militare di Bagram nel Giorno del Ringraziamento. I” talebani vogliono un accordo, e noi li incontreremo e diremo che deve esserci un cessate il fuoco. Loro non lo volevano ma ora sì. Abbiamo compiuto dei grandi progressi”, ha dichiarato Trump al termine di un colloquio con l’omologo afghano Ashraf Ghani.Anche i Talebani si sono detti “pronti a riprendere i colloqui” di pace con gli Stati Uniti e confermano quanto affermato ieri dal presidente statunitense, Alcuni leader del gruppo radicale hanno fatto sapere che stanno avendo incontri con funzionari Usa di alto livello, a Doha.  Ma ciò che più conta, per il tycoon, è mantenere fede su uno dei punti del suo programma elettorale:  quello di riportare a casa i soldati americani dalle guerre infinite, prima tra tutte quella in Afghanistan. Il presidente più volte ha ribadito la sua posizione, così come ha fatto anche in occasione di quest’ultima visita, sostenendo che i soldati americani, “i migliori che ci sono” non possono essere “la polizia del mondo”.   A Ghani , Trump  ha confermato l’intenzione di ridurre al più presto il numero di militari americani, dispiegati nella coalizione internazionale arrivata a combattere i talebani dopo l′11 settembre 2001, a 8.600 unità dagli attuali 13mila. Come primo step. Per arrivare, in piena campagna presidenziale, all’azzeramento della presenza militare Usa in Afghanistan. Obiettivo praticabile, nell’ottica del “Mullah Donald”, visto che nemico di ieri può diventare l’alleato di oggi Paradosso afghano: diciotto anni fa, l’America colpita dall’11 Settembre, muove guerra in Afghanistan ad al Qaeda e al regime che ospitava i campi di addestramento di Osama bin Laden: quello dei Talebani. Migliaia di morti dopo (tra cui 54 militari italiani), l’inquilino della Casa Bianca apre ai Talebani in nome di un nemico comune: l’Isis. Diciotto anni di guerra, ovvero oltre 145 mila morti, tra cui almeno 28 mila civili. A questi si aggiungono oltre 3.500 soldati NATO (di cui 53 italiani, più 650 feriti), almeno 1.700 contractor di varie nazionalità e oltre 300 cooperanti stranieri’. Una guerra costata 900 miliardi di dollari, 7,5 per l’Italia. Nel 2018 secondo l’Onu sono stati uccisi 3800 civili, tra cui mille bambini. Il più alto numero di vittime tra la popolazione in un anno. Quest’anno finora hanno perso la vita 19 militari americani.

I Talebani controllano gran parte delle regionirurali dell’Afghanistan. E rappresentano ancora una minaccia alla pace e alla stabilità del paese, forti ancora di un numero di miliziani stimati tra le 40 e le 60mila persone. Non riconoscono il governo di Ghani, che ritengono essere un “fantoccio” degli occidentali. E vogliono rientrare nella partita per la spartizione del potere. E Trump lo ha accettato. In nome di un nemico comune: lo Stato islamico. Perché a potere e territori  ai Talebani sono i foreign fighters dell’Isis. L’Afghanistan non è l’Iraq o la Siria, dove gli affiliati all’Isis combattono i curdi, i cristiani e gli sciiti. Qui il potere è conteso ad altri sunniti, i Talebani, e più che per conquistare nuovi territori al “califfato”, si combatte per assicurarsi il controllo delle rotte del commercio dei narcotici. La “fabbrica” talebana di oppiacei mantiene salda la prima posizione mondiale, infatti l’eroina afghana raggiunge quasi tutto il globo. 

 Nel gennaio 2017, l’Isis ha annunciato la nascita di una nuova fazione locale in Afghanistan, alla quale hanno velocemente aderito molti fuoriusciti dai talebani: gli afghani di Nangarhar non lo sapevano, ma si trattava proprio dei pakistani rifugiati nelle loro case. Dopo un anno di alleanza con i talebani afghani, in estate, l’Isis è venuto allo scoperto predicando in moschea un islam rigidamente wahabita (lo stesso professato in Arabia Saudita).  A luglio sono cominciati i primi scontri a fuoco tra i talebani afghani e i pakistani, passati all’Isis.   Dopo un mese circa di combattimenti, l’Isis si è impossessato della zona, nonostante gli americani bombardassero sia loro che i talebani. Passando villaggio per villaggio e casa per casa, i jihadisti hanno rubato i mezzi di sostentamento ai residenti, distruggendo scuole e madrasse talebane, imponendo una nuova legge. Le abitazioni dei talebani sono state bruciate e chi veniva sospettato di essere loro alleato è stato rapito e seviziato, Una recente inchiesta della Bbc metteva in evidenza come l’adesione allo Stato islamico fosse divenuta economicamente più appetibile per gli afghani, considerato lo stipendio di 500$ mensili, cui il movimento talebano (in guerra dal 2001) non può sicuramente entrare in concorrenza. Il pericolo di un progressivo sbilanciamento di forze a favore delle bandiere nere era stato denunciato dallo stesso leader Mullah Omar, ora defunto, in una lettera proprio rivolta al Califfo Al-Baghdadi, anche lui passato a miglior vita.  Nella stessa il Mullah intimava il fu Califfo di “non cercare di penetrare in Afghanistan” e che la sua azione stava “pericolosamente dividendo il mondo musulmano. E a rendere ancora più ingovernabile il Paese è la frammentazione etnico-tribale.