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Credit: Lunar Caustic/Flickr 

la Repubblica

La vista inizia nell'utero

Le cellule della retina dei feti sono interconnesse e più sensibili alla luce di quanto si sapeva finora. E iniziano a sviluppare alcune funzioni essenziali per lo sviluppo della vista del cervello, e forse persino per le emozioni, già nel ventre materno

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LA LUCE nel ventre materno non è di certo quella del mondo esterno. Eppure già dal secondo trimestre gli occhi del bambino in grembo possono percepire la luce, in modo più profondo e ben prima di quanto si pensasse finora. Si riteneva infatti che le cellule della retina ancora in via di formazione fossero sensibili solo alla presenza o assenza di luce, per abituarsi per esempio al ciclo giorno-notte. Ma dalla California i ricercatori dell'Univeristà di Berkeley hanno osservato come queste cellule siano interconnesse tra loro, formino una rete che raccoglie informazioni sull'intensità della luce e siano collegate con aree del cervello inaspettate che regolano l'umore e le emozioni. La ricera è stata pubblicata sulle pagine di Current Biology.

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Nel nostro occhio le cosiddette cellule gangliari ricevono informazioni dai recettori della retina e le inviano al cervello attravero il nervo ottico. Quello che i ricercatori hanno trovato è che durante lo sviluppo dell'occhio, a partire dal terzo mese, il 3% di queste cellule sono sensibili alla luce e si organizzano in sei sottotipi che comunicano con parti diverse del cervello. E soprattutto parlano tra di loro. "Pensavamo – spiega Marla Feller, biologa molecolare a Berkeley che ha guidato il gruppo di ricerca – che nell'occhio in via di sviluppo le cellule gangliari fossero connesse col cervello, ma non molto col resto della retina. Ora invece sappiamo che sono connesse anche tra loro, il che è una cosa sorprendente".

Questa rete di cellule che si scambiano informazioni renderebbe l'occhio del feto più sensibile all'intensità della luce e non solo alla presenza o all'assenza della luce. I ricercatori californiani, grazie a tecniche di imaging, indagini anatomiche, farmacologiche e dell'attività elettrica delle cellule, lo hanno osservato su modelli animali. "Pensavamo – aggiunge Feller – che a quello stadio di sviluppo dei topi neonati e dei feti umani fossero ciechi". E invece il feto sarebbe capace di percepire luce ben prima di riuscire a "vedere" vere e proprie immagini.

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Inoltre gli studiosi hanno fatto un'altra interessante scoperta. Le cellule gangliari non sono connesse soltanto con i nuclei superchiasmatici, che regolano il nostro orologio biologico per il giorno e la notte, né soltanto con l'area del cervello che regola l'apertura della pupilla. A stupire l'équipe scientifica, è stato il fatto che altre cellule gangliari ancora raggiungono l'abenula e l'amigdala, zone del cervello essenziali per la regolazione dell’umore e delle emozioni.

Questo ha fatto pensare i ricercatori che queste cellule connettano l'occhio al cervello non solo per il mero senso della vista. "Forse – spiega Feller – riguardano anche comportamenti che non riguardano strettamente della vista. Potrebbero per esempio spiegare problemi come le emicranie indotte dalla luce oppure spiegare perché la terapia della luce ha degli effetti sulla depressione".