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Foto di Matthew Ashton / Getty Images.

Tutti gli errori di Unai Emery all’Arsenal

E ora si parla di Pochettino, Allegri e Arteta.

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Con un comunicato stampa di una decina di righe sul proprio sito internet l’Arsenal ha esonerato, dopo una stagione e mezza, Unai Emery. L’allenatore basco era stato ingaggiato nell’estate 2018 per raccogliere l’eredita di Arsene Wenger – il manager che per un ventennio aveva guidato l’Arsenal nella sua epoca più felice e gestito il complicato periodo della costruzione del nuovo stadio.

 

Emery arrivava dalla difficile tappa al PSG, negativa ma con diverse attenuanti. A Parigi il lavoro del tecnico ha sofferto soprattutto l’incapacità di gestire uno degli spogliatoi più ricchi di egocentrismo al mondo. La macchia più grande, ovviamente, era l’impresa storica di essere riuscito a farsi eliminare dalla Champions League nonostante un 4-0 di vantaggio all’andata. Il PSG era dalla parte sbagliata della storia nell’epica rimonta del Barcellona.

 

L’Arsenal gli aveva offerto un contratto di due anni con un obiettivo chiaro, per quanto complicato: riportare l’Arsenal in Champions League, recuperando quindi lo svantaggio competitivo accumulato negli ultimi anni di Wenger. Dopo i due anni si sarebbe potuto discutere se continuare insieme o meno. L’Arsenal voleva ragionare a breve termine dopo l’impero interminabile di Wenger. Nella prima stagione Emery avrebbe dovuto assestarsi e nella seconda, quella attuale, centrare l’obiettivo.

 

Dopo 13 partite, però, i Gunners avevano 18 punti: un record negativo rispetto anche al peggior inizio dell’epoca Wenger. Certo, il -8 sulla carta rispetto al Chelsea non sembrava rappresentare uno svantaggio incolmabile. La squadra di Lampard però nell’ultimo periodo ha dato l’impressione di essere superiore, sia nel gioco che nei risultati. E mentre i blues si definivano come uno dei club con più hype in Europa – una squadra fresca, piena di giovani interessanti – l’Arsenal apriva una striscia di sette partite senza vittorie. Un record negativo mai neanche sfiorato nell’epoca Wenger. Non era tutto perché c’erano anche le prestazioni abuliche, il sistema di gioco confuso, diverse situazioni ambigue all’interno della rosa. La dirigenza alla fine ha deciso di accontentare una tifoseria sul punto di scendere in piazza.

 

 

La rivoluzione non è un pranzo di gala

Va detto che la scorsa stagione di Emery non era stata un disastro. La squadra ha comunque raggiunto una Finale di Europa League, persa nettamente, è vero, ma che sembrava comunque una crescita rispetto alle ultime stagioni di Wenger. C’era un’idea di futuro. L’esperienza di Emery, poi, era cominciata sotto i migliori auspici. L’allenatore aveva impressionato la dirigenza per la sua metodologia, la sua preparazione e le idee chiare su come svecchiare e dare freschezza all’Arsenal. Aveva iniziato, tra le altre cose, con alcuni accorgimenti al campo di allenamento per migliorare l’aspetto atletico della rosa. Aveva fatto costruire una piscina di sabbia su cui fare esercizi ed essere più efficaci nel gioco senza palla.

 

C’era da fare una rivoluzione ma Emery l’aveva cominciata con entusiasmo, con un lavoro tattico enorme sin dalla preparazione estiva. Il tecnico ha provato ad aggiornare la squadra, dotandola di un pressing di stampo contemporaneo e di una migliore uscita palla dalla difesa. Per fare questo Emery ha creato lunghe sedute tattiche e sedute video – cose che, come sappiamo, non proprio amate dai giocatori. La sua incapacità di comunicare bene in inglese non ha aiutato però queste sessioni video, che sono state quindi accantonate. L’Arsenal ha terminato il primo pre-campionato impostando da dietro in modo aggressivo per invitare la pressione avversaria e giocargli alle spalle e pressando alto quando senza palla. Non appena è iniziata la stagione, però, la squadra ha dimostrato di essere troppo indietro per poter eseguire le richieste di Emery contro avversari di livello. Le due sconfitte contro City e Chelsea hanno forse mostrato al tecnico spagnolo di non avere abbastanza tempo per lavorare davvero sui nuovi principi. Emery ha deciso quindi di abbandonare la questione del pressing alto, concentrandosi invece su quella dell’uscita palla.

 

In questo piccolo fallimento non va sottovalutato il suo livello di inglese. Ciò che all’inizio era un siparietto comico è diventata una barriera enorme frapposta fra lui e i giocatori. Proprio Fredrik Ljungberg, che ora sarà l’allenatore ad interim, aveva da tempo preso in mano i contatti con i giocatori, come ammesso dal giovane Bokuyo Saka: «A volte non capisco cosa cerca di comunicarmi il mister, ho una migliore comunicazione con Freddie».

 

L’ormai iconico «Good ebening» per iniziare ogni intervista.

 

Emery ha pensato di dare maggiore sicurezza alla squadra passando alla difesa a 5, abbassando il baricentro medio e attuando un possesso palla conservativo inizialmente e poi molto verticale oltre la metà campo.  L’aggressività dell’uscita palla è stata progressivamente attenuata. L’Arsenal rischiava meno ma aveva perso la sua identità. I Gunners sono diventati una squadra che fatica a produrre molto dal punto di vista offensivo, e che era costretta ad aggrapparsi al grande affiatamento – e all’indiscutibile talento – della coppia Aubameyang e Lacazette. I due, di fatto, hanno tenuto a galla la squadra nella prima stagione. Emery, insomma, aveva l’aria del supplente che chiedeva ai ragazzi di studiare da soli.

 

Una brutta, bruttissima finale.

Okay, ricominciamo

In estate la dirigenza ha deciso di investire 100 milioni per portare in rosa quattro nuovi titolari. Il difensore centrale David Luiz, il terzino sinistro titolare in Kieran Tierney, il centrocampista Dani Ceballos e e l’ala destra Nicolas Pepé. Emery, insomma, voleva azzerare e ripartire con un modello di gioco proattivo che era sempre nella sua testa. La difesa a 4, due ali sempre in campo e un centrocampo fluido in fase di possesso: era questo il mantra della nuova stagione. C’era però un problema: non c’era modo di far entrare nella stessa formazione le punte Aubameyang, Lacazette, il rifinitore Özil e l’ala Pepé. Lo scontro dietro le quinte tra Özil e la dirigenza per il rinnovo e l’indecisione di Emery sul centrocampo titolare hanno creato un senso di confusione generale che si è riflesso in campo. L’Arsenal ha sperimentato un continuo cambio di moduli (in 13 partite ha utilizzato almeno una volta: 4-2-3-1, 4-3-3, 4-3-1-2, 5-3-2, 3-4-2-1). Dentro questo caos Emery si è rifugiato nei giovani, come sempre più facilmente malleabili dal punto di vista tattico. 

 

Di positivo in questi 18 mesi c’è il ricambio generazionale che ha voluto attuare dando fiducia ai giocatori dell’accademia dell’Arsenal, chiaramente uno dei temi su cui la stessa dirigenza deve averlo indirizzato, forse anche per abbattere il monte ingaggi. L’altra faccia della medaglia è l’alienazione totale della fiducia dei senatori dello spogliatoio e l’impossibilità di avere continuità di prestazioni (cosa normale con i giovani in campo).

 

Alcune delle sue decisioni per cercare di riprendersi lo spogliatoio sono sembrate fuori contesto. La più clamorosa è stata forse quella di non scegliere un capitano per far ruotare la fascia e, in un secondo momento, lasciar votare lo spogliatoio. Una decisione tornata indietro con gli interessi quando il capitano eletto ,Granit Xhaka, si è scontrato apertamente con i tifosi allo stadio ed è finito per questo addirittura fuori rosa per un periodo. 

 

Emery ha delegato al gruppo una decisione che invece di rafforzarlo lo ha fatto apparire debole. C’è stata un’ambiguità di fondo: Emery vorrebbe solo fare l’allenatore ma si è scontrato con una cultura in cui è ancora grigio il confine tra i compiti classici di un allenatore e quelli – ben più estesi – di un manager. 

 

Bisogna in questo considerare anche il contesto dell’Arsenal, dove Wenger aveva instaurato un regime assolutistico. Col suo addio la dirigenza ha provato a recuperare potere ma l’allenatore ha finito per assorbire tutti i dissidi interni.

 

Emery ha ceduto a una serie infinita di compromessi di formazione, finendo per scontentare tutti. Lucas Torreira, per citarne uno, è improvvisamente sparito dal centrocampo titolare; Mesut Özil, nel bene o nel male un giocatore fondamentale, entrava e uscire dall’undici senza spiegazione apparente. Nel frattempo il gioco dell’Arsenal ha latitato, in bilico tra la sua fragilità tattica e l’autolesionismo che è un’eredità storica lasciata da Wenger.

 

E ora?

Ora la squadra è stata affidata a Freddie Ljungberg mentre la società è alla ricerca di un nuovo allenatore. Dovesse andare bene, Ljungberg potrebbe guadagnarsi la riconferma, ma l’esempio di Solskjaer è lì a ricordare che qualche mese positivo non basta a comprovare il valore di un manager a un livello così alto. Della lista di nomi tra gli allenatori liberi che circola in queste ore probabilmente i tre sottolineati dalla dirigenza sono Mauricio Pochettino, Massimiliano Allegri e Mikel Arteta.

 

Pochettino avrebbe tutto per il ruolo, se non fosse che è stato l’allenatore dei rivali storici del Tottenham fino alla scorsa settimana. Allegri ha da tempo dato segnali di voler allenare in Premier League, ma potrebbe decidere di aspettare ancora per la panchina del Manchester United, un club che sembra ancora più adatto al suo lavoro, più centrato sul risultato immediato e meno sull’integrazione dei giovani. Arteta invece è un ex giocatore dell’Arsenal che ora fa da secondo a Guardiola nel Manchester City e che era già stato candidato per il posto prima di Emery. La sua mancanza d’esperienza da primo allenatore aveva però frenato tutto. Sarebbe strano dare l’opportunità a Ljungberg di allenare la squadra per poi cambiarlo con un altro esordiente se dovesse andar male.

 

In tutto questo non sappiamo cosa starà pensando la leggenda del club Thierry Henry che è stato annunciato come allenatore dei Montreal Impact pochi giorni fa. Sarebbe interessante sapere che ne pensa di tutta questa situazione Arsene Wenger, l’uomo che ha costruito l’Arsenal come lo conosciamo ora e che in attesa di vedere la sua statua inaugurata fuori al “suo” stadio, sta vedendo il club attorcigliato in una fase da cui non sarà facile uscire. 

 

L’esperienza dell’Arsenal con Emery sembra rispecchiare quella del Manchester United con Moyes. Non c’è cosa più difficile che scegliere l’erede di un allenatore leggendario, specie in un momento in cui tutte le squadre di Premier sono economicamente competitive e la preparazione tattica diffusa. In Premier rimanere fermi equivale a fallire: l’Arsenal ha perso tempo prezioso e anche se si dovesse scegliere la direzione giusta c’è tanta strada da recuperare a Chelsea, Manchester City e Liverpool. La prossima scelta del club, quindi, potrebbe rivelarsi ancora più decisiva di quella del primo sostituto di Wenger.