Google sotto accusa: “Raccoglie i dati sanitari degli utenti”

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(Ansa)

MILANO – “Test hiv”, “controindicazioni del farmaco per il cuore”, “cure per il cancro”: su Google si cerca di tutto, anche sulla salute nostra e dei nostri cari. E questi dati sensibili possono finire alle compagnie di assicurazione e alle imprese farmaceutiche. Senza che gli inconsapevoli “pazienti” lo sappiano. 

La criticità è emersa da un’inchiesta del Wall Street Journal secondo cui Google avrebbe raccolto segretamente decine di milioni di cartelle cliniche di pazienti, con tanto di loro nomi, di oltre 2.600 ospedali americani nell’ambito di un progetto automatico chiamato Nightingale.

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In particolare grazie alla collaborazione con Ascension, un fornitore di servizi sanitari americano, Google avrebbe avuto l’intenzione di realizzare uno strumento di ricerca per professionisti di ambito medico che, proprio grazie ai dati elaborati con l’apprendimento automatico, potrebbe fornire suggerimenti su prescrizioni, diagnosi e i medici ai quali i pazienti dovrebbero rivolgersi, spiega The Atlantic. E tutto secondo la legge: il progetto, infatti, non violerebbe le attuali normative americane sulla privacy. 

Un’altra inchiesta, questa volta del Financial Times, ha evidenziato che non solo Google, ma anche Amazon e Microsoft raccoglierebbero i dati che gli utenti inseriscono su alcuni siti sanitari. E già semplicemente il fatto che un utente acceda ad un determinato sito da un determinato luogo e magari clicchi su certe pubblicità fornisce a Google moltissime informazioni che noi non vorremmo molto probabilmente dare. 

La questione sembra particolarmente urgente in Italia. Al 14° Forum Risk management in sanità è emerso che solo il 20% delle strutture sanitarie pensa alla conservazione dei dati sanitari. Per Enrico Desideri, presidente della Fondazione Gutenberg, si dovrebbe “pensare al Cloud sanitario come punto di arrivo, stop ai singoli sistemi informatici aziendali, serve formazione del personale ed un’efficace comunicazione ai cittadini perché si crei la percezione di un sistema di raccolta e conservazione sicuro”. (Fonti: Wall Street Journal, Financial Times, The Atlantic, Ansa)