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Conte ha "tradito" anche i 5S: spunta il testo che lo incastra

Il Movimento 5 Stelle e la Lega avevano approvato una risoluzione con cui chiedevano al governo di non approvare alcuna riforma: era il 21 giugno

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Non solo l'Italia, non solo il patto con la Lega, Giuseppe Conte con l'ok alla riforma del Mes voluta dall'Europa ha "tradito" anche il Movimento 5 Stelle. E come per il messaggio di Matteo Salvini che ha smentito le accuse del premier, adesso "carta canta" anche per i rapporti tra premier e Cinque Stelle. Un post inserito dai pentastellati nel blog delle stelle a giugno 2019, infatti, smentisce clamorosamente il presidente del Consiglio e dimostra che anche i grillini si erano impegnati pubblicamente (insieme agli ex alleati del Carroccio) a non firmare il nuovo Mes con le modifiche richieste dall'Europa.

La questione è molto chiara: il Movimento - ben prima che Conte si trasformasse nel miglior alleato del Pd e dell'Unione europea - si impegnò a non firmare alcuna riforma del Mes. Anzi, leggendo quel testo firmato proprio da tutto il MoVimento, si capisce che i pentastellati fossero contrari al nuovo Meccanismo europeo di stabilità al pari di quei partiti sovranisti che adesso Conte attacca. Il titolo del post è già chiarissimo: "NO a questa riforma del MES, NO all’austerità".

Ma quello che c'è scritto è ancora più duro. Innanzitutto, i grillini confermano che insieme alla Lega votarono una risoluzione con cui si chiedeva al governo di impegnarsi a non votare "(quindi di fatto porre il veto)" a qualsiasi riforma del Mes che andasse nella direzione poi confermata nei negoziati. Ma soprattutto si definivano chiaramente i parametri del nuovo Meccanismo confermando anche i timori che questa riforma conducesse verso tagli, austerità e un sempre più incisivo coinvolgimento del Mes nelle riforme macro-economiche. Tutto per soddisfare le pretese di un'istituzione che si rivela per i Paesi come "tagli e sacrifici".

Insomma, quel negoziato su cui Conte pare abbia calato una sorta di cortina del silenzio, adesso rischia di travolgere proprio lo stesso presidente del Consiglio che evidentemente ben prima di diventare giallorosso aveva già intrapreso la strada per assumer un ruolo da avvocato europeista più che da avvocato del popolo, come gli piaceva definirsi ai tempi in cui ancora si autoproclamava difensore del popolo e fieramente "populista". Di acqua sotto i ponti ne è passata, ma evidentemente l'operazione del premier per il suo secondo atto era iniziata molto prima di quando la crisi di governo agostana ha dato il via all'esperienza (per ora fragile e incerta) del governo Pd-Cinque Stelle. E non è un caso che da qualche tempo anche lo stesso Movimento abbia fatto scattare il processo al suo premier: qualcosa non torna.