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(lapresse)

la Repubblica

Papa Francesco, eutanasia: "Il diritto di morire non ha basi giuridiche"

Il pontefice richiama la lezione di Rosario Livatino, giudice vittima della mafia, e critica certe sentenze che in Italia e in tanti ordinamenti democratici, secondo una giurisprudenza che si autodefinisce 'creativa', inventano un diritto di morire

Per il Papa le sentenze "che in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia in Italia e in tanti ordinamenti democratici" sono "pronunce per le quali l'interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato; o che-secondo una giurisprudenza che si autodefinisce 'creativa'-inventano un 'diritto di morire' privo di qualsiasi fondamento giuridico e in questo modo affievoliscono gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a sé stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza".


Le affermazioni del pontefice sul fine vita, sono arrivate questa mattina in Vaticano, quando Francesco ha accolto i membri del centro studi "Rosario Livatino", che si richiama al 'giudice ragazzino' che ora la Chiesa si prepara a proclamare beato. Ricordandone la figura, il pontefice ha sottolineato che Livatino "in una conferenza, riferendosi alla questione dell'eutanasia, e riprendendo le preoccupazioni che un parlamentare laico del tempo aveva per l'introduzione di un presunto diritto all'eutanasia, egli faceva questa osservazione: "Se l'opposizione del credente a questa legge si fonda sulla convinzione che la vita umana è dono divino che all'uomo non è lecito soffocare o interrompere, altrettanto motivata è l'opposizione del non credente che si fonda sulla convinzione che la vita sia tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni "indisponibili, che né i singoli né la collettività possono aggredire".

"Queste considerazioni sembrano distanti dalle sentenze che in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia, in Italia e in tanti ordinamenti democratici" ha aggiunto il Papa, "Pronunce per le quali l'interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato; o che - secondo una giurisprudenza che si autodefinisce 'creativa' - inventano un "diritto di morire" privo di qualsiasi fondamento giuridico, e in questo modo affievoliscono gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a sè stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza".


"L'attualità di Rosario Livatino è sorprendente", ha ricordato Bergoglio, "perché coglie i segni di quel che sarebbe emerso con maggiore evidenza nei decenni seguenti, non soltanto in Italia, cioè la giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti 'nuovi diritti', con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo".