"Sul Mes non c'è nulla di segreto", dice Tria

"Tutti erano informati. Quota 100 invece della flat tax? Salvini si è fatto convincere dai sondaggi"

Professore, alla fine dell’esperienza di governo, pensava di essersi tirato un po’ fuori dalle polemiche; in realtà ci è ritornato in questi giorni per via di come è stata condotta la trattativa sul Mes. Come è andata?

“Si è parlato di firme segrete. Non ci sono firme, tanto meno segrete. La bozza di accordo è stata preparata dal gruppo ed è passata al summit il 22 giugno e poi dovrà essere approvata alla fine di dicembre. Questo documento è pubblico e chiunque lo può andare a leggere. Si continua a discutere di cose per sentito dire. In giugno si è discusso di come trasferire in un articolato normativo accordi fatti nel dicembre precedente, quindi l’accordo esiste dal dicembre 2018 e c’era tutto il tempo di leggerlo. Il negoziato che è stato fatto per arrivare a quell’accordo del summit di dicembre 2018 ha avuto – da parte italiana – successo, perché delle questioni di cui si discute, il cosiddetto obbligo, l’automatismo di ristrutturazione del debito nel documento non c’è. Il negoziato ha portato a eliminare dall’accordo quelle questioni che erano inaccettabili per l’Italia. Si era opposto a queste formulazioni il governo precedente, il governo di cui ho fatto parte io ha continuato a opporsi al negoziato e ha ottenuto un risultato. Bisogna andarsi a leggere i documenti su questo. Non ci sono pericoli. Alcuni si dimenticano poi che la revisione del trattato che riguarda il Mes contiene una parte di cui nessuno parla e cioè quella che serviva a stabilire una partecipazione del Meccanismo europeo di stabilità a rinforzare dal punto di vista finanziario il fondo di risoluzione unico, che è quel fondo che serve per intervenire in caso di crisi bancarie. Quindi questo è uno dei pilastri, e anche su quella parte alcune condizioni che non ci stavano bene sono state tolte. Un altro obiettivo che era stato discusso nei giorni precedenti in Italia era di evitare che si prevedesse esplicitamente la pubblicazione di una metodologia di calcolo automatica della sostenibilità del debito. Ci opponevamo perché quando si fanno queste cose qualcuno si sbizzarrisce a esaminare i debiti in giro per il mondo se corrispondono o no a certi criteri. Dopo una notte di trattative questo è stato tolto e rimane tra l’altro il fatto che il meccanismo di tutela e di stabilità è autorizzato per fini interni: deve concedere il credito, deve esaminare la condizione economica dei paesi e la loro sostenibilità del debito. Ma tutti i poteri e il mandato di esaminare la sostenibilità del debito rimane alla Commissione Ue. Uno poteva anche non essere d’accordo ma la questione è questa. Il Parlamento è libero di rettificare o meno questo trattato e anche il governo a dicembre è libero di farlo oppure no”.

Lei consiglia di confermarlo? Ci sono pericoli?

  

“Io non vedo pericoli. In ogni caso, bisogna vedere cosa succede nel non confermarlo perché vi vorrei ricordare che nel dicembre scorso siamo andati a negoziare – e abbiamo avuto questo buon risultato – nelle condizioni peggiori, perché quando si va a negoziare con un mercato finanziario agitato e con lo spread che va alle stelle non si è molto forti nel dire ‘no, noi ci tiriamo fuori’. E la discussione che fu fatta allora non fu tanto di dire un deficit un po’ più alto o un po’ più basso, ma furono avvertiti tutti che si andava a fare un negoziato che avrebbe avuto degli effetti di medio-lungo periodo. E quindi era una questione cruciale che non riguardava soltanto un disavanzo congiunturale di un anno. E che era bene arrivarci con mercati calmi in modo da essere più forti. Diciamo che non ci siamo andati nelle condizioni migliori”.

  

Ci siete andati con un handicap?

  

“Abbiamo raggiunto dei risultati grazie alla capacità di avere un dialogo corretto con gli altri paesi. In molte di queste discussioni, alcuni stati tiravano fuori il caso italiano del debito perché sono contrari ad andare avanti in un processo di integrazione europea. Il risultato è che i più scontenti su questo trattato erano gli olandesi e in parte la Germania, perché anche loro – anche se non lo dicono – hanno interesse a questo rafforzamento chiamato il Common Backstop del fondo di risoluzione unico per le banche. L’Italia non ha banche più deboli degli altri paesi”.

  

Salvini che adesso dice “ci hanno nascosto tutto, è un complotto”, sapeva in realtà?

  

“Queste sono discussioni pubbliche, finite sui giornali. Ammetto che sono anche discussioni tecniche e io non penso che un leader politico debba andare a esaminare personalmente le carte. Però dovrebbe avere dei consiglieri che lo consigliano bene”.

  

Le Banche sono state consultate durante il processo?

  

“E’ un processo che è andato avanti con una discussione già da prima del governo gialloverde. Tutti erano informati. L’esecutivo lavorava con consultazioni continue anche con la Banca d’Italia e con tutti gli organismi tecnici, non è che non erano informati. Oltretutto nell’accordo, l’Italia ha sempre sostenuto che si doveva approvare contemporaneamente tutto il pacchetto che riguarda il Mes, l’unione bancaria – compreso il meccanismo di assicurazione sui depositi – e soprattutto il cosiddetto ‘budget dell’Eurozona’. C’è chi non vuole andare avanti su quella strada cioè creare un bilancio dell’Eurozona che va a finanziare investimenti destinati ad aumentare la produttività, la competitività dell’Ue. Ho sempre sostenuto che i sovranisti in Europa non stanno in Italia ma stanno al nord e sono coloro che stanno bloccando i meccanismi decisionali in Europa perché non vogliono andare avanti. Questa è la vera situazione. Si parla senza sapere quello che accade, anche perché bisogna andarci in Europa e discutere con i propri colleghi e vedere quello che succede. Io sono andato a rappresentare un governo che non brillava di europeismo e mi sono trovato in situazioni in cui ero il più europeista di tutti”.

Lei diceva che contro gli olandesi non sono stati attuati dei meccanismi di calcolo automatici sulla sostenibilità.

  

“Perché anche la Commissione su queste cose era dalla parte nostra. Noi ponevamo un problema non ideologico e non solo di interesse nazionale ma un problema tecnico che conoscono tutti. Se io voglio creare un meccanismo che sia un paracadute per una possibile crisi non lo posso fare in un modo che crei un turbamento nei mercati e quindi facendo scattare la crisi oggi. Questo è un problema tecnico e su questo si è discusso”.

  

Ma non è un problema anche il fatto che stiamo litigando su questa vittoria, su questa trattativa portata a casa in modo dignitoso? Non è forse proprio questa discussione la cosa più pericolosa?

  

“Intanto non si abolisce il Mes, al massimo si discute di revisionarlo. A proposito di leggere le carte, bisogna vedere com’era il Mes prima e com’è dopo. Se poi si vuole uscire da un trattato, siamo un paese libero. Ma è una decisione politica estrema e non credo che anche coloro che usano questi hashtag ci credano davvero”.

  

Si rischia di ritornare a una situazione di stress che Lei ha vissuto a giorni alterni quando si parlava dell’uscita dall’euro oppure no.

“E’ una questione di attacco politico al governo del tutto legittimo se lo si vuole mettere in difficoltà. Credo in ogni caso che bisogna sempre stare attenti a non coinvolgere i problemi dei rapporti internazionali rispetto alla politica interna. Certo, c’è un collegamento ma dobbiamo avere una credibilità a livello internazionale; se n’è parlato per la politica industriale e se ne deve parlare in tutti i campi.

  

Lei ha raccontato alla Columbia University che aveva proposto alla Lega una flat tax, e una revisione dell’aliquota Irpef, ma Salvini preferì quota 100. Ci può ricordare quando è stato, cosa è successo e soprattutto perché si preferì un sollievo sui redditi più bassi?

  

“Il perché non lo so. E’ stata una scelta della Lega. Io ipotizzo che dai sondaggi emergesse che c’era più consenso per quota 100 che per un altro provvedimento. Si stava lavorando, nell’estate 2018, a una prima fase della cosiddetta flat tax, che significava semplicemente ridurre il numero degli scaglioni e soprattutto abbassare l’Irpef per i redditi medio-bassi”.

  

Si preferirono i pensionati?

  

“Diciamo che da una parte c’è stato il riconoscimento della Lega. Io ho sempre detto che bisognava iniziare questo processo di riduzione, non tanto della pressione fiscale generale, ma di riduzione dell’Irpef sui redditi dei ceti medi. Evidentemente c’erano delle argomentazioni. Ogni provvedimento può essere visto in vario modo. C’era anche una parte del mondo delle imprese che voleva essere più libero di smaltire più velocemente i dipendenti più anziani. Ricordiamoci che c’era un problema oggettivo di transizione creato dalla riforma Fornero e ricordo che un anno fa a questa festa dissi che quel provvedimento aveva stabilizzato finanziariamente il sistema pensionistico nel medio-lungo periodo ma aveva creato qualche problema sulla transizione. Ma dietro le spese c’è sempre una motivazione. Il problema è avere la capacità di scelta. Bisogna capire dove intervenire prima. Non è tanto che ogni spesa è sbagliata di per sé. Ma ci sono delle priorità e ci sono delle compatibilità. Attualmente questo governo viene attaccato dall’opposizione perché è il governo delle tasse. Riflettete. La stessa accusa può essere portata con altre parole. Il significato in sostanza è lo stesso. E’ il governo della spesa. Perché si dice che è il governo delle tasse? Perché non si vuole parlare di spesa. Se non si modera la spesa pubblica corrente è ovvio che ci devono essere delle tasse. Allora possono dire ‘è il governo della spesa o il governo delle tasse’. Dicono che è il governo delle tasse perché crea più consenso”.

  

Il Pd diceva che la Lega aveva paura di preparare questa finanziaria. Lei la stava preparando. Com’era fatta?

  

“Non mi sembra che la Lega avesse paura di questa finanziaria. I motivi della rottura nessuno li conosce. La storia dice che il governo in cui stavo, a giugno, ha fatto un aggiustamento di bilancio strutturale che non si faceva da molti anni. Per cui a giugno-luglio sono rientrati dall’estero sottoscrittori del nostro debito che se n’erano andati, lo spread era arrivato più o meno ai livelli attuali e questo è stato fatto con un governo non proprio orientato in quel senso e con una stagnazione economica. Quindi molte cose si possono fare, per questo sono ottimista. Però a quel punto la scelta delle forze politiche potevano essere di prendersi il merito di questa operazione che consentiva di affrontare in modo relativamente tranquillo la manovra di ottobre. Ma si disse ‘no, bisogna fare la crisi perché Tria voleva fare il deficit a 1,8 per cento’. Non so chi si sia inventato questa cifra perché la manovra non l’ho mai fatta. I motivi saranno stati altri”.

  

In realtà il suo è passato come il governo della spesa.

  

“Alla fine è stato il governo più austero”.

  

Lei investirebbe in Italia?

  

“Questa è una buona domanda. L’ho detto pubblicamente e l’ho anche scritto. Nella mia esperienza giravo il mondo e incontravo gli investitori di fondi d’investimento stranieri e anche i miei colleghi europei in genere mi ripetevano queste parole: ‘Tutti mi dicono che ci sono grandi opportunità di investimento in Italia ma c’è un rischio legale’. Questa è una delle questioni fondamentali che vanno affrontate”.

  

L’Ilva…

  

“Sull’Ilva posso dire questo. Il danno di avere messo in discussione l’immunità penale nel corso dell’attuazione delle operazioni di bonifica e quindi di aver rotto un accordo, cambiando idea su questo, evidentemente ha degli effetti negativi. Non sappiamo come andrà a finire, ma certamente c’è un effetto generale sulla reputazione dell’Italia per gli investimenti dall’estero. Questo è il danno complessivo. Quando mi parlano di rischio legale, per cercare di capire di che cosa si tratta, non è soltanto la lentezza della giustizia ma la sua imprevedibilità, che chiamerei politico-istituzionale e che si riflette sulle norme che sono dietro alcuni accordi che si mettono in discussione nell’alternanza dei governi. La questione Tav è significativa. Per un anno abbiamo avuto una pantomima perché nulla è successo e nulla poteva succedere. La Tav si sapeva che doveva andare avanti e non è mai stata rallentata per il semplice motivo che c’era dietro una legge, ed era necessaria una nuova legge per cambiarla in Parlamento e in Parlamento non c’era una maggioranza perché la Lega non avrebbe mai votato una legge per bloccare la Tav. Ma il risultato di questa pantomima di un anno ha prodotto una nostra cattiva reputazione nel mondo”.

 

Adesso si parla di nazionalizzazione per l’Ilva e Alitalia. Qual è una potenziale soluzione e soprattutto quale domanda farebbe in proposito al suo successore, Gualteri?

  

“Io non gli farei nessuna domanda, gli farei tanti auguri! In bocca al lupo! La questione Alitalia non è un problema di nazionalizzazione o meno. Il problema di Alitalia è che ci vuole un piano industriale e uno del management di livello. Dopo viene la questione del finanziamento,. Questa è sempre stata la mia posizione fin dall’inizio. Se il piano industriale rispetta le regole europee bisogna trovare un management di livello. Siamo ancora in questa situazione, in cui queste condizioni non ci sono. Nell’ottobre 2018 quando stava scadendo il mandato dei commissari straordinari non avevano in mano nulla ed era già quasi scomparso il miliardo che lo stato aveva messo come prestito per andare avanti. E si è andati avanti in questo modo. Quello che mi terrorizza è questo. Poi, sulla discussione su quanto ci debba essere di privato o di pubblico, ci sono delle regole europee. Ma le regole europee consentono di avere anche una presenza pubblica. Ma la vera questione è: c’è un piano industriale serio? Allora se c’è un piano industriale serio, ci sono anche un management e dei partner seri. Finora dei partner disposti ad intervenire in modo serio mi pare che non ce ne siano.