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Fumo dalla sede di Beni della missione delle Nazioni Unite, 25 novembre 2019 (AP Photo/Al-hadji Kudra Maliro)

C’è una grave crisi nella Repubblica Democratica del Congo

Ebola, morbillo, attentati islamisti quasi quotidiani e scontri tra popolazione e caschi blu delle Nazioni Unite

Dalla Repubblica Democratica del Congo arrivano ormai quotidianamente notizie di attentati e morti: nelle ultime settimane nel nord-est del paese sono state uccise più di 80 persone, quasi 100 secondo altre fonti. Da quasi vent’anni in Congo – dove dal 1997 al 2003 si è combattuta una sanguinosa guerra civile durante la quale sono state uccise circa 5 milioni di persone – è presente il contingente militare delle Nazioni Unite MONUSCO, che ha l’obiettivo di proteggere i civili dai gruppi islamisti e di ribelli attivi nel paese. La missione sembra però non funzionare, e la popolazione stessa mostra nei suoi confronti ormai un’aperta ostilità. In tutto questo, in Congo, c’è una grave epidemia di ebola che dallo scorso agosto ha causato la morte di più di 2 mila persone. Altre 5 mila persone, secondo l’Unicef, sono morte dall’inizio dell’anno per morbillo.

Lunedì 25 novembre e poi mercoledì 27, nella zona di Beni, nell’est del paese, ci sono stati due attacchi che hanno provocato la morte di almeno 8 e 19 persone. Entrambi sono stati attribuiti ai ribelli delle Forze democratiche alleate (ADF), un gruppo terrorista islamista nato negli anni Novanta. ADF si muove tra Uganda e il nord-est della Repubblica democratica del Congo, area che è da anni considerata politicamente molto instabile, data la presenza di vari gruppi che lottano per il potere (si stima che siano circa 160). Negli anni l’ADF si è ampliato reclutando persone di diverse nazionalità. Alcuni gruppi locali hanno accusato l’ADF di aver compiuto attacchi che hanno causato la morte di oltre 1.500 persone e 800 rapimenti negli ultimi cinque anni. L’ADF non ha mai dichiarato un’alleanza con lo Stato Islamico, ma l’ISIS aveva definito l’ADF il loro primo alleato nella «provincia centro-africana» del Califfato.

Dopo lunedì, esasperate dal fallimento delle forze di sicurezza nel fermare gli attentati, decine di persone hanno preso d’assalto la sede di Beni della missione dell’ONU. Accusando i “caschi blu” di aver assistito passivamente alle uccisioni, la protesta si è trasformata in uno scontro. La dinamica di quello che è successo non è molto chiara, ma la maggior parte dei giornali scrive che inizialmente sono intervenute le forze governative che hanno cercato di disperdere la folla, ma inutilmente; e che successivamente sono intervenute le forze delle Nazioni Unite che avrebbero cercato di “difendersi” e di impedire ai manifestanti di entrare nella struttura, che è stata parzialmente incendiata.

Durante l’intervento sarebbero state usate armi letali (si parla di due morti tra i manifestanti, mentre le Nazioni Unite hanno annunciato l’apertura di un’indagine sulla morte di una persona) e secondo alcuni osservatori sarebbero state violate le regole di ingaggio. «L’uso di una forza eccessiva sui manifestanti è un’inaccettabile violazione delle norme e degli standard internazionali sui diritti umani. È ancora più inaccettabile per le forze di pace delle Nazioni Unite», ha detto per esempio Jean-Mobert Senga, ricercatore di Amnesty International in Congo. «Le persone non possono continuare a morire per mano sia dei ribelli che delle forze di sicurezza che dovrebbero proteggerle e mantenere l’ordine in linea con gli standard internazionali sui diritti umani». Le manifestazioni contro i peacekeeper delle Nazioni Unite nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo si sono diffuse da Beni anche ad altre città della regione, come Goma.

MONUSCO è la più grande e costosa missione di peacekeeping attualmente supportata dall’ONU nel mondo. Le Nazioni Unite hanno schierato nel paese più di 18 mila truppe, principalmente nella regione nord-orientale, composte da oltre 16.500 militari e osservatori, 1.300 poliziotti e almeno 4.000 civili. Con il tempo, e ad ogni rinnovo di mandato, i finanziamenti a MONUSCO sono stati ridotti, cosa che avrebbe ridotto la capacità di intervento della missione stessa. Lo scorso 30 ottobre, le forze armate della RDC avevano lanciato un’offensiva contro i gruppi ribelli nel nord-est del paese, senza la partecipazione di MONUSCO. Lunedì, il nuovo presidente congolese Felix Tshisekedi ha ritrattato annunciando operazioni militari “congiunte” con le cosiddette forze di pace.

In tutto questo, il Congo sta affrontando un’epidemia di ebola che ha causato oltre 2 mila morti dall’agosto 2018. Dall’inizio del 2019, inoltre, quasi 5000 persone sono morte di morbillo. A settembre, per provare a fermare l’epidemia, era stato avviato un enorme programma di vaccinazione: più di 800mila bambini avrebbero dovuto ricevere il vaccino per il morbillo, ma l’inadeguatezza delle strutture mediche e l’instabilità della regione hanno fatto sì che fino ad ora meno di metà di loro sia stata vaccinata.

Gli attacchi dell’ADF e di altri gruppi armati hanno ostacolato intenzionalmente gli sforzi di contenimento delle epidemie. Ieri, sono stati colpiti due centri di cura dell’ebola situati nell’est del paese: tre operatori sanitari sono morti e diverse persone sono rimaste ferite. L’aggressione è stata attribuita alla milizia locale Mai Mai: i membri di questo gruppo sono convinti che l’ebola non esista e che la campagna di vaccinazione sia una strategia per eliminare la popolazione locale. Il giorno dopo l’OMS e il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) hanno dichiarato di aver evacuato dalla zona gran parte del loro personale, a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza.