La famiglia di Pamela: «Perché gli interpreti avevano paura? Indagate sulla mafia nigeriana»
APPELLO - I famigliari della 18enne uccisa a Macerata insistono con la tesi dell'organizzazione criminale e replicano al procuratore Giovanni Giorgio. E sul delitto: «Continuiamo a pensare che Innocent Oseghale non ha agito da solo»
by Marco CencioniCondividi40TweetEmail40 Condivisioni
Omicidio di Pamela, la famiglia: «Indagate sulla vicenda degli interpreti, difficile non immaginare che non possa di sicuro esserci la mafia nigeriana». La famiglia della 18enne uccisa il 30 gennaio 2018 dal nigeriano Innocent Oseghale, condannato all’ergastolo, risponde al procuratore Giovanni Giorgio (leggi l’articolo) che nei giorni scorsi aveva chiarito alcuni aspetti in seguito ad un precedente comunicato della famiglia (leggi l’articolo). «Riscontriamo con stupore l’ultimo comunicato della Procura di Macerata, con il quale si rispondeva ad alcune nostre riflessioni e dubbi riguardanti la possibile esistenza della mafia nigeriana a Macerata e nelle Marche, in base al quale, la suddetta ipotesi, sarebbe stata categoricamente esclusa – si legge nella nota -.
Se, in linea generale, non siamo noi a dover spiegare che, molto, in una indagine, dipende dalla sua impostazione, e che certi elementi, di sicuro, non spuntano fuori da soli, per venire al caso di specie, vorremmo ricordare, ad esempio, che fu proprio il procuratore Giorgio a denunciare pubblicamente il fatto (riportato da diversa stampa) che l’interprete nigeriana inizialmente incaricata della traduzione degli atti processuali su Oseghale, gli lasciò, ad un certo punto, il lavoro incompiuto sulla scrivania, rifiutando di proseguire l’incarico e rendendosi addirittura irreperibile. E che ulteriori difficoltà ci furono per trovare altri interpreti, sia per il particolare dialetto da tradurre, sia per le paure di minacce o ritorsioni che questi temevano per sé stessi o, addirittura, per i loro parenti in Nigeria. Ebbene – proseguono i famigliari di Pamela -, riteniamo che sia lecito, legittimo e doveroso avanzare le nostre ulteriori perplessità al riguardo ed ipotizzare la possibile presenza, così le cose, di una organizzazione criminale ben strutturata, e transnazionale, la sola in grado- evidentemente- di raggiungere un livello di intimidazione tale da incutere un così intenso timore al punto da far rinunciare delle persone ad un incarico da parte di una Procura. Sarebbe interessante sapere, allora, se delle indagini siano state svolte anche in questo senso, dal momento che, il fatto in sé, così riportato, è certamente grave, e quali siano stati i relativi risultati».
Sempre secondo la famiglia «risulta difficile non immaginare che non possa di sicuro esserci mafia nigeriana a Macerata, se le Marche tutte siano sotto il controllo dei Maphite (famiglia Vaticana, in particolare), come riportato dalla Dia nel rapporto al Parlamento sulla propria attività, riguardante il secondo semestre 2018. Per cui, nessuna insinuazione: gli organismi pubblici – tutti- non possono ritenersi esenti da critica, soprattutto in casi eclatanti, come quello di Pamela, che hanno scosso una nazione intera, e dopo una sentenza – quella di condanna di Oseghale – che ci ha dato ragione su diversi punti importanti, a lungo ignorati, o non approfonditi, in fase di indagine, ed anche dopo, nonostante le nostre istanze. Organismi pubblici che, a nostro avviso, non hanno saputo cogliere, quantomeno nella loro interezza, la pericolosità di quel che stava maturando in quella città e che poi si è rivelato a tutti, tra l’efferato omicidio della giovane ragazza, una tentata strage, e decine e decine di arresti di spacciatori nigeriani, insediati ed operativi già da tempo nel capoluogo marchigiano, diversi dei quali individuati a seguito proprio delle indagini scaturite dai fatti del 30 gennaio scorso».
Sull’archiviazione di Lucky Desmond, altro nigeriano che era stato indagato per l’omicidio, «abbiamo già fatto le dovute considerazioni: ferma tuttora la nostra convinzione che Oseghale non fosse solo, ci aspettiamo adesso che la procura dia seguito alla contestazione dei reati indicati nel medesimo provvedimento contro i soggetti colà individuati. Non deve passare il messaggio che, a Macerata, chiunque possa accusare qualcun altro di reati gravi, senza poi subirne le conseguenze, in caso di manifesta falsità ed in un caso di rilevanza come quello in commento. Oseghale in primis. D’altronde, se si fosse fugato ogni dubbio prima, anche sull’attendibilità e fondatezza delle dichiarazioni di diversi soggetti, che pure hanno riferito circostanze sulla morte di Pamela, forse non ci sarebbero stati dei passaggi che, per noi, oggettivamente, erano evidentemente obbligatori». Ultimo aspetto quello che aveva originato il primo comunicato della famiglia, il processo per spaccio che era stato prescritto e che vedeva imputati diversi nigeriani. Il procuratore aveva chiarito che l’indagine era della procura distrettuale di Ancona. «Quanto poi al processo per spaccio internazionale caduto in prescrizione, fatalità sempre nell’annus horribilis, dopo la presa di distanze da qualsiasi responsabilità, ci saremmo aspettati un commento, da parte del Procuratore, su una vicenda comunque grave, sia per l’esito che l’ha contraddistinta, sia per i fatti in sé, lì contestati: perché, anche qui, è irragionevole pensare che una attività di quel genere, che aveva coinvolto Porto Recanati, e che certamente aveva un enorme allarme sociale, non potesse avere dei collegamenti anche con la stessa Macerata, che dista pochi chilometri, e dove, a tutt’oggi, come detto, sono numerosi gli arresti per spaccio, con la contestazione di migliaia di episodi di cessione di sostanze stupefacenti. Rimaniamo a disposizione della Procura, naturalmente, per un confronto sulle rispettive posizioni, nell’interesse comune della Giustizia».